“Ringrazio chi mi contesta, in alcuni casi anche con degli slogan efficaci. ‘Pensati sgradita’: non sapevo che Chiara Ferragni fosse metalmeccanica. Non ho voluto rinunciare, in segno di rispetto per un sindacato che è la più antica organizzazione del lavoro della nostra Nazione“.
Giorgia Meloni viene invitata al congresso della CGIL dopo quasi due decenni in cui non si vedeva un Capo del Governo far capolino su quel palco (l’ultimo era stato Romano Prodi ben 27 anni e 15 governi fa) e dinanzi a una platea che la accoglie con un provocatorio “Bella Ciao” intonato in coro, espone la visione del Governo su imprese, salari e crescita.
Certo, il coraggio non le manca e come lei stessa ha sottolineato in apertura al suo intervento, è abituata ad essere fischiata sin da quando, a 16 anni, faceva politica nelle scuole. Quel briciolo di politica militante fatta a suon di assemblee, cortei e volantinaggi che resta confinato nella dimensione giovanile e che purtroppo, anche a sinistra, si sta gradualmente perdendo nei meandri di una società che ci vuole tutti, irrimediabilmente, soli ed appesi ai fili di una connessione mobile, ben al sicuro dietro a uno schermo.
Dinanzi a fischi, sberleffi colorati del rosa di Peppa Pig, dinanzi agli irriducibili della FIOM schierati in prima fila coi giornalisti in Gran Pavese, Meloni tira dritto difendendo la riforma del fisco senza nulla concedere al salario minimo chiesto a gran voce da Schlein qualche giorno avanti, nel primo duello tra donne leader dei due maggiori partiti italiani che un’aula parlamentare italiana abbia mai visto.
Il tempo giusto di qualche carezza alla platea: la condanna dell’assalto alla sede nazionale della Cgil messa in atto da attivisti di estrema destra, il ricordo di Marco Biagi¹, l’estensione della contrattazione collettiva e degli ammortizzatori sociali. Tira dritto e chiosa: “Rivendicate senza sconti le vostre istanze nei confronti del Governo. Troveranno sempre un ascolto serio e privo di pregiudizi, perché questo è l’impegno che mi sono presa con gli italiani“. Dritto in faccia a chi auspicava lo scontro e l’andar via con la coda tra le gambe.
“Bisogna immaginare una strada nuova che è quella di puntare tutto sulla crescita economica, perché sono le aziende a creare ricchezza. Allo Stato tocca il dovere di creare le regole, la povertà non si abolisce con i decreti” affonda Meloni, tirando per le orecchie Conte e chi nel PD auspica il matrimonio con gli ideatori del reddito di cittadinanza, che “ha fallito gli obiettivi per cui era nato perché a monte c’è un errore: mettere nello stesso calderone chi poteva lavorare e chi non poteva lavorare, mettendo insieme politiche sociali e politiche attive del lavoro“. Resta ben poco da fare a Landini, rieletto con una maggioranza bulgara che sfiora il 95%, se non sbandierare l’ennesimo sciopero generale in nome di quel trito, oramai antistorico, conflitto “capitale vs. lavoro” che dovrebbe essere una volta per tutte consegnato alla storia del Novecento. Se non altro in nome dell’attualità e delle mutate condizioni del mercato, da appena un 30ennio.
Insomma, la CGIL pensava di “metterla nel sacco” e Meloni se ne esce con un figurone, ben salda nell’integrità delle sue idee. Un capolavoro di comunicazione politica in cui riesce addirittura nella difficilissima opera in cui la sinistra (prevalentemente femminile) italiana fallisce da sempre: essere ironica su se stessa.
Dai Landini, andrà meglio la prossima volta.
¹ Biagi fu docente di diritto del lavoro di orientamento socialista e consulente governativo. Fu ucciso il 19 marzo 2002 a Bologna da un commando delle Nuove BR mentre era in corso la stesura della sua riforma ispirata a una maggior flessibilità dei contratti di lavoro, nota come Legge Biagi (L. 14 febbraio 2003, n.30).