CONGRESSO LEGA: CONCLUSIONI

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CONGRESSO LEGA: CONCLUSIONI
Dopo aver cercato di dare conto di quanto accaduto nel recentissimo Congresso della Lega Salvini Premier a Firenze, proviamo ad azzardare qualche conclusione alla luce dei contenuti espressi.

La Lega è apparsa, sul piano dei contenuti, poco propositiva e molto difensivista rispetto alle parole d’ordine che l’hanno sin qui caratterizzata. I temi toccati sono quelli identitari del partito, dalla sicurezza, al pacifismo, all’ostilità contro l’UE. Nulla di nuovo insomma.

Ma, oggi, quelle stesse tematiche – ripetiamo, tradizionali rispetto al pantheon valoriale della Lega – assumono indubbiamente una veste nuova alla luce di un mondo che è radicalmente cambiato negli ultimi anni e che per certi versi, è andato incontro agli allarmi leghisti. Dal drammatico fenomeno dell’insicurezza nelle nostre città in crescita ovunque, all’espansionismo di un Islam che sembra non aver bisogno delle spade per conquistare l’Europa, alla guerra che da ipotesi teorica si sta via via facendo sempre più concretamente pericolosa per finire con una democrazia in bilico attaccata dall’esterno e dall’interno

Tutto questo merita un approfondimento non solo politico, ma anche sociale e persino antropologico. Ciò, proprio alla luce del ruolo di cui la Lega si è autoinvestita in patria come all’estero. Essa tiene alla propria immagine di difensore dello stato nazionale, della sua forma democratica e dei suoi confini. Nella retorica propagandistica questo esiste in modo conclamato quando si parla di migrazioni, un po’ meno quando si parla di guerra vera, quella con gli eserciti e quant’altro.

Ma la cosiddetta invasione del continente da parte dei migranti o l’attacco alla way of life occidentale, o gli attacchi alla democrazia, non dipendono da fattori contingenti e meno che mai meramente economici

Essi sono l’espressione di una frattura identitaria e da un tentativo di imporre modelli diversi e talvolta opposti nelle nostre comunità.

Questo impone necessariamente delle riflessioni su cosa debba significare oggi essere sovranisti, in Italia e in Europea. È terminato il tempo degli slogan buoni per vellicare la pancia della plebe, per far largo a ujn sovranismo che si ponga il concreto obiettivo di qualificare che cosa significa difendere la Patria oggi e da chi

È una questione che riguarda non solo la politica, ma persino l’identità stessa della nostra comunità nazionale, e più in generale di quella europea.

Perché se la continuità contenutistica emersa a Firenze, implica una continuità politica e strategica, esiste un problema per il partito di Salvini. Ed è un problema certificato dai dati elettorali delle ultime tornate che impietosamente segnano un calo drastico dei consensi.

E allora, se come recita il vecchio brocardo “se percorri le stesse vie, ti troverai alle stesse porte” , reintrepretare certi concetti alla luce di un mondo nuovo, diventa una necessità vitale per la Lega, che oggi più che mai, non può contare solo sull’effetto Vannacci (peraltro reinglobato in logiche di partito).
Dunque, essere sovranisti oggi non può limitarsi a una mera contestazione antisistema. Certo, si comprende bene che la natura “rivoluzionaria” sia consustanziale alla Lega, ma la deriva bonapartista che ne discende rischia di non rendere il partito di Salvini all’altezza del compito che si è autoassegnato relegandolo semplicemente a “Tribuno della Plebe”

E visto che la plebe non segue più tanto il Kapitano, un cambiamento si rende necessario.

Oggi, infatti, è tempo di scelte chiare, nette e decise che sappiano fare dell’Italia il punto di riferimento dell’Europa. E, per fare questo, occorre difendere la Patria a tutto tondo, non solo in ciò che fa comodo elettoralmente. Non solo, dunque, dalle culture diverse, ma anche dagli amici, se necessario.

E se questo è chiaro quando la Lega si scaglia contro la Francia di Macron o l’Inghilterra di Starmer, serve farlo anche quando la controparte è l’America di Trump. Intendiamoci, non è necessario che la Lega rinunci al trumpismo come frame ideologico di riferimento, né tantomeno fare guerra a Trump

Più semplicemente servirebbe porsi il più possibile su un piano di parità negoziale forte della propria specificità. Rimanere dunque all’interno della cornice del trumpismo (lotta all’immigrazione, lotta alla cultura woke, favore all’economia reale, piuttosto che a quella finanziaria e speculativa, persino lotta alla globalizzazione selvaggia) non significa subirne passivamente gli effetti se questi danneggiano l’Italia.

Una parola su questo va detta, perché l’alleanza con l’America di Trump è strategica e indiscutibile, ma non può mai diventare supina accettazione di una politica che giustamente e legittimamente il Presidente USA sta portando avanti per difendere e valorizzare il proprio popolo (che poi ci riesca o meno, questa è questione che valuteranno gli americani)

Così come è necessario porsi in posizione dialettica nei confronti della Russia, che oggi più che mai mette in discussione i valori occidentali in virtù di una rinnovata idea di valorizzazione aggressiva dell’identità russa. Dunque, perché subire tale attacco?

Anche se non si è contro Putin non si può rimanerne subalterni visto il rischio per la cultura occidentale. Certo, la Lega in questo è in buona compagnia. Non solo del Movimento 5 Stelle, ma anche di tutti quei partiti che fino a ieri osannavano il leader russo, lo ritenevano partner affidabile e “coltivabile” e oggi fanno a gara a chi è più antiputiniano

Ma questo non esime la Lega dall’uscire – da destra – dall’ambiguità.
Insomma, l’idea di una Italia e una nuova Europa forte e solida in quanto tale. In rapporto dialogico con tutti, ma mai supina a nessuno.

E proprio sull’identità europea, declinata in tali termini, occorre maggiore chiarezza. Non è sufficiente dire che “non siamo contro l’Europa”, o attaccare semplicemente l’UE; è necessario investire nella proposta costruttiva rispondendo alla domanda: Quale Europa vogliamo costruire? La c.d. “Europa dei popoli” deve essere declinata in termini concreti, magari proprio a partire dalla sua leadership e dalla sua architettura costituzionale. In caso contrario rimane un bello slogan privo di sostanza.

Il punto lo ha ben centrato Valditara in una intervista ieri al Giornale, sebbene lo abbia trattato in modo solo parziale. E’ il tema dell’elites che oggi mancano drammaticamente in un momento storico assai delicato

O, meglio, che non sono quelle che sarebbero necessarie. Il Ministro dell’Istruzione tuttavia erra per difetto. Egli dichiara che l’essenza del sovranismo sta nella valorizzazione della volontà popolare rispetto alla burocrazia tecnocratica che regola gli equilibri politici e legislativi di Bruxelles con l’imposizione di “lacci e lacciuoli” talvolta assurdi. E fin qui, potremmo essere d’accordo.

Ma pensare che obiettivamente il popolo possa decidere sempre e comunque o che il compito della politica sia meramente quello di tradurre in atti legislativi le volontà popolari è quantomeno ingenuo

Da sempre, la democrazia si fa oligarchia dei decisori. È l’effetto consustanziale di una democrazia rappresentativa che non può essere diretta (con buona pace dei grillini). Invero, è persino giusto che sia così, semmai occorre investire sui parametri qualitativi in forza dei quali un’elite diventa tale

La domanda è quali valori supremi intende incarnare questa elite per trarre legittimazione. Per questo, oggi, il punto non è la lotta ai burocrati in sé e per sé, ma l’individuazione di nuovi soggetti selezionati su criteri diversi da quelli attuali, secondo il tradizionale e noto schema di Pareto.

È una vera rivoluzione quella che potrebbe incarnare il sovranismo oggi, attraverso la valorizzazione di un nuovo assetto istituzionale europeo e persino un diverso modo di fare politica, magari non subalterna all’economia e alla finanza

Dal punto di vista istituzionale, il sovranismo non dovrebbe limitarsi a criticare questa Europa, poiché l’immenso potere di cui oggi godono a Bruxelles deriva dai trattati europei. Dunque, modificare quei trattati e battersi per una vera e propria costituzione europea che ne sintetizzi la storia e dia voce ai valori che, nelle diversità, hanno reso grande il continente sarebbe una grande battaglia sovranista.

Perché tale Costituzione non potrebbe che essere federalista, dovendo necessariamente, “armonizzare il polacco con lo spagnolo”, egualitaria circa la dignità dei singoli stati nazionali – architravi principale di regolazione delle rispettive comunità- e senza più corsie preferenziali. Invero, battersi per questo significherebbe portare a livello europeo i temi cardini che la Lega incarna in Italia combattendo strenuamente – dal punto di vista culturale – per i valori tradizionali dell’Europa che trovano il loro fondamento nella storia del pensiero europeo

Una simile impostazione valoriale, persino etica, quale base di costruzione di un nuovo edificio europeo, significa riportare al centro la persona contro la dinamica meccanicistica che regna sovrana in Occidente. Invero, il tecnicismo di Bruxelles altro non è che la conseguenza necessitata che deriva dal pensare che l’economia sia il principio della decisione politica.

È una forma ipnotica che pare non avere rivali, ribaltare la quale diventa essenziale per la prospettiva di una nuova politica.
L’inversione dell’ordine che da decenni ormai si sperimenta, determina quella che Evola chiamava “specializzazione degenerante” che indebolisce l’identità europea e al rende preda di contesti identitari molto più forti

Questa dovrebbe essere la sfida principale di una forza di destra che si autoinveste della difesa di tutto ciò che è nazionale. E di questo, ahimé, nel Congresso di Firenze, non se ne è vista nemmeno l’ombra.

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