La guerra tra i cartelli non è finita: ci sono anzi nuove strategie e nuovi gruppi, spiega il Financial Times.
La Drug Enforcement Administration (DEA), l’agenzia federale antidroga statunitense, stima che la produzione di eroina messicana sia aumentata del 37 per cento nel 2017; e che nello stesso anno anche la produzione di cocaina in Colombia abbia raggiunto un livello record. Secondo la DEA, inoltre, uno dei passaggi ormai più utilizzati per eroina, cocaina, fentanil (un potente oppioide) e metanfetamine è il corridoio che va da Tijuana a San Diego, in California, e per il quale il muro di Trump servirebbe a poco. L’aumento del commercio e l’apertura di nuove rotte tra un confine e l’altro peraltro ha alimentato la violenza: l’anno scorso in Messico ci sono stati 30.499 omicidi, una cifra superiore rispetto agli ultimi anni. Il numero degli omicidi a Tijuana, in particolare, lo scorso anno è stato circa il doppio di quello raggiunto un decennio fa.
In questo contesto, il cartello di Sinaloa ha ancora uno dei ruoli principali nella distribuzione. Sul sito della DEA, appena sotto al comunicato stampa che celebra la condanna di Guzmán come una “grande vittoria”, c’è l’avviso di un latitante molto ricercato: Ismael “El Mayo” Zambada, socio di Guzmán che si ritiene gestisca attualmente il cartello di Sinaloa. Anabel Hernández, una delle principali giornaliste investigative del Messico, ha raccontato però che «ci sono molti sfidanti al trono» che si contendono la frontiera settentrionale del paese e soprattutto Tijuana. Tra questi c’è dal 2015 il cartello Jalisco Nueva Generación (CJNG), molto cruento, capeggiato da Nemesio Oseguera detto “El Mencho”, e in continua espansione: «CJNG sta combattendo ovunque e sta trasformando tutti in suoi nemici. Non sta costruendo capitale politico e ci si aspetta che alla fine il CJNG imploda, ma questo» – ha spiegato un esperto al Financial Times – «non significa che succederà presto».
Negli ultimi anni, oltre a Sinaloa, al CJNG e a ciò che resta di altri cartelli consolidati ma ora meno potenti, la scena messicana del crimine organizzato si è complicata con l’emergere di una serie di nuovi gruppi locali, alcuni non legati direttamente al traffico di droga ma a crimini come estorsione, rapimenti e furti di carburante con cui comprano la protezione dal cartello di riferimento sul territorio in cui operano. A tutto questo va aggiunta, secondo Anabel Hernández, un’altra minaccia: una nuova generazione di capi – che lei ha soprannominato “una minaccia silenziosa” – che è entrata a far parte del business stringendo alleanze con altri signori della droga e che riesce a spostare grandi quantità di droga, senza grande visibilità e usando pochissima violenza.
Ciò che non sta cambiando affatto, invece, è il livello di corruzione del paese che coinvolge anche le istituzioni, compresa la magistratura, che rimangono vulnerabili alle enormi tangenti che i cartelli possono offrire. La strategia del nuovo presidente messicano presenta molti punti deboli, secondo gli esperti: quando il presidente López Obrador dice che non si concentrerà sulle rotte del narcotraffico ma solo sulla violenza, non sta considerando che la maggior parte della violenza è causata proprio dai narcotrafficanti.
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