Il Prof. Nicola Mondaini è un uroandrologo con un curriculum sterminato. Oltre ad un’importante produzione scientifica è revisore di prestigiose riviste internazionali come Jama; collabora con numerosi gruppi di ricerca internazionali ed è considerato opinion leader sulle tematiche andrologiche. Per circa 15 anni è stato Dirigente Medico in prima linea negli Ospedali Fiorentini.
D: Professor Mondaini, anche se non lavora in prima linea con i malati Covid-19 in base alla sua esperienza sul campo e alle sue capacità come ricercatore quali sono le sue impressioni?
R: Faccio una doverosa premessa. All’inizio io ero un “talebano” della chiusura. Secondo me tutti dovevano stare rintanati in casa. Il sistema sanitario italiano era fortemente a rischio di tenuta di struttura. C’era un forte timore del collasso del comparto ospedaliero. Questa malattia, inoltre si è dimostrata essere una malattia sistemica che colpisce più organi in maniera estremamente severa, non una banale influenza.
D: La sua premessa mi porta a farle una domanda che è una naturale conseguenza: adesso non è più un talebano?
R: No. In medicina bisogna essere pragmatici e tenere sempre sotto controllo il rapporto costo/beneficio è fondamentale. E per costo non intendo la spesa ma il costo sulla salute.
D: Quindi lei crede che sia giunto il momento per ripartire?
R: Non lo dico io, lo dicono i numeri. I dati dimostrano che la malattia sta perdendo aggressività rispetto a 30 giorni fa. Ancora i miei colleghi epidemiologi e virologi non ne hanno capito il motivo ma è un dato di fatto. La cosa certa è che i malati di oggi sono decisamente meno impegnativi di quelli del mese scorso.
D: Questo dipende da una terapia finalmente consolidata?
R: Non c’è una terapia unica. Abbiamo un ventaglio di farmaci e terapie che senza entrare nel dettaglio, dati alla mano, hanno fatto calare sensibilmente i numeri dei ricoverati. Per non parlare delle terapie intensive che hanno visto, fortunatamente, un crollo di presenze. È una concomitanza di più fattori e della bravura dei clinici italiani che sono riusciti a capire una malattia completamente nuova in soli 2 mesi… Medici di medicina generale, internisti, pneumologi, cardiologi, anestesisti, anatomopatologi. Solo per citare quelli in primissima linea. Loro hanno capito che il malato va curato da subito a casa, da qui l’importanza di una medicina del territorio che in futura andrà incrementata.
D: Infatti abbiamo anche assistito alla chiusura del reparto Covid-19 del Nuovo San Giovani di Dio, ospedale fondamentale del tessuto fiorentino. E il fatto che ci stiamo avviando alla bella stagione?
R: Da sempre il bel tempo e il caldo vedono una diminuzione di questo genere di patologie. Vorrei però fare anche un applauso alla popolazione. Gli italiani si sono dimostrati coscienziosi. Al di là delle previsioni. Però adesso è necessario ripartire chiaramente con tutte le precauzioni del caso.
D: Un medico che dice che è necessario ripartire?
R: La povertà, è dimostrato, crea sempre un peggioramento dello stato di salute delle persone: alimentazione, igiene, condizioni di vita scadenti determinano senza alcun dubbio la qualità clinica dell’individuo. Quindi miseria uguale malattie!!!
D: Ma non c’è timore di un rialzo del tasso di contagio?
R: L’apertura alla “normalità” porterà sicuramente a un rimbalzo del famoso fattore R0 che ormai tutti conosciamo. Ma questo non deve spaventare perché oggi il Sistema Sanitario Nazionale è più che pronto ad affrontare la situazione, sia a livello di attrezzature, sia di preparazione medica.
D: E le scuole?
R: Su questo andrò controcorrente: ritengo fondamentale riaprire le scuole. L’integrità psico-fisica dei bambini oggi è messa a dura prova. Manca la socialità, manca il correre, manca l’aria aperta. Tutte attività che alzano le difese immunitarie. Se poi i genitori tornano al lavoro e i bambini non vanno a scuola? Ci devono pensare i nonni che rimangono la categoria maggiormente a rischio. Dunque lasciarli a casa è una falsa soluzione. Quindi meglio che vadano a scuola. Sotto tutti i punti di vista. I dati ci dicono che bambini si ammalano veramente di rado. L’importante evitare i contatti tra loro e i nonni.
D: Ma quindi i nonni, se i bambini vanno a scuola, non potranno vederli per paura di venire infettati.
R: È una questione di priorità sociale: guardiamo la media dei decessi. Gli ultimissimi dati ci dicono che siamo sopra gli 80 anni. Tutti i giorni. E allora, mentre la nazione riparte, le persone per le quali continuerei la quarantena sono quelle sopra i 75 anni. Conviene correre un minimo rischio e fare ripartire il paese non solo per l’aspetto economico sul quale non mi addentro ma per la salute. La vedo cosi.
D: Professore ma l’Italia sta andando a velocità molto diverse in merito al tasso di infezione.
R: È vero. Infatti tutto quello che ho detto non vale per Piemonte e Lombardia, che dovrebbero essere gestite in maniera diversa, allungando i tempi di riapertura. E soprattutto test sierologici e tamponi a tappeto. Come ci ha insegnato il modello veneto.
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