Li chiamavano Cinque Stelle, oggi sono ai Quattro Formaggi. Come la pizza. Nel primo Formaggio si contempla la nascita del Movimento: formaggio piccante che non s’accompagnava ad altri gusti, tanto era forte e diverso il suo sapore. Nel secondo Formaggio avviene la prima ibridazione, e nasce il caciocavallo appeso del populismo mezzo sovrano (non sovranista, ma mezzo sovrano, come si dice delle cantanti liriche che sono a metà tra contralto e soprano); il tempo del governo coi sovranisti.
Nel terzo Formaggio si contempla lo sciogliersi della pasta e la sua mutazione anche olfattiva in gorgonzola progressista, per la Pizza Democratica. Nel quarto Formaggio, infine – ma solo per ora – si imbocca la strada del Formaggio stagionato e morbido, di sapore moderato e di gusto democristiano. Le quattro fasi del Movimento 5Stelle si riassumono in questa mutazione casearia, che coincide con la progressiva meridionalizzazione del movimento e della sua guida.
Trans-grillismo
Il paradosso di questi giorni è che l’alleanza coi democratici, continuata e scoordinata, viene interpretata a ruoli invertiti: il trans-grillismo che nella prima fase interpretava il ruolo di movimento radicale, populista, proletario e tardosessantottino, insomma l’alleato alla sinistra del Pd, oggi interpreta il ruolo opposto, quello di alleato moderato, quasi centrista, che pensa ai ceti medi, che si colloca come una nuova Dc, versione saldi e parodia. Al posto di Moro e Andreotti ci sono Conte e Di Maio.
Ovvero, prima il Pd se li trovava sul fianco sinistro, ora se li ritrova sul fianco destro. Del resto, pure l’alleato piddino ha nominato alla sua guida un ex-democristiano per fare una politica più “de sinistra”, seppur nella medesima versione saldi e parodia. Il giovin signore che lo guida vuole tassare i ricchi, tifare per i migranti, occuparsi delle periferie, cantare bella ciao.
Chi è perplesso davanti a un’alleanza così eterogenea, viene subito rassicurato dai virologi di regime: non solo è possibile cambiar vaccino dalla prima alla seconda dose, ma addirittura fa bene il mix, probabilmente shakerato con l’aggiunta dello zenzero che ci sta sempre bene. Pd e 5S come Pfizer e Astrazeneca, insieme per prevenire il virus della destra.
Giuseppe Conte, l’avvucato
Ma torniamo ai grillini. Devo scusarmi se non riesco a fare un’analisi politologica seria delle sue mutazioni, ma siamo usciti ormai da tempo dalle categorie della politica e dell’antipolitica. Siamo davanti a un fenomeno di mutazione da circo, in cui anche la categoria del trasformismo sarebbe gravemente offesa dall’accostamento.
Chi sono i protagonisti dello sketch contorsionista, o se preferite l’allegoria precedente, gli chef della pizza ai quattro formaggi? Soprattutto due, i sullodati Giuseppe Conte, l’avvucato, o’provessore; e Giggino Di Maio, lo scugnizzo della Farnesina, che vende bibite ai G7. Più contorno di Fico, Crimi e altri figuranti. Il film è preceduto dall’apparizione di Grillo inferocito che ruggisce come il leone della Metro Goldwin Mayer. La produzione è cinese, ma da mercatino.
Conte è una mucillagine che assume le fattezze delle superfici su cui si posa, è un avvocato che assume la difesa delle cause più disparate, purché intraveda un tornaconto. Può dirsi populista o moderato, progressista o devoto, combattere la casta e scappellarsi davanti agli onorevoli, secondo le circostanze e le convenienze. Non è grillino, è contino. Il grillino dei finti contini, per parafrasare un famoso romanzo.
Più interessante è Luigino. Sin da quando apparve vestito da ominarello, come si chiamano a sud i ragazzi che si vestono da grandi o si danno l’aria di essere già adulti con la cravattina, come se andasse a un colloquio d’assunzione per venditori; l’abito della cresima, la borsa da travet… Fummo facili e non solitari profeti a prevedere la sua mutazione democristiana. Di Maio rappresentava sin dai primordi l’anima istituzionale del Movimento 5Stelle, come Ale Di Battista rappresenta l’anima emozionale e Grillo l’anima irascibile.
Dopo aver scavalcato i comunisti abolendo la povertà, Di Maio si è accorto di aver creato col reddito di cittadinanza una vasta clientela meridionale, proprio come la dc. E allora si fa democristiano: e dopo aver rappresentato in combutta con Diba, il Movimento degli scappati di casa, decide ora di interpretare nella nuova commedia i Ceti Medi, che un tempo si chiamavano borghesia. E da forcaiolo si fa garantista.
A Di Maio però riconosco qualche matrice storica e culturale, e non vi scandalizzi l’uso di queste due parole a proposito del noto umanista partenopeo. Lui è un erede terminale, e perciò inevitabilmente degradato, di un’antica indole meridionale che spesso si fa piaga; lo dico da meridionale, per giunta orgoglioso di esserlo, e dunque non c’è nessuna connotazione razzista e spregiativa.
Di Maio interpreta l’antica commedia dell’arte che si riversava nella vita nei vicoli di Napoli: quel sud mezzo anarchico e mezzo monarchico, pagano e devoto, un po’ Masaniello un po’ Borbonico, lazzarone e pulcinellesco, esercitato a un’antica, aspra scuola di vita e di sopravvivenza. Ches’hadafàpe’campà. Non privo di generosità e di passeggeri ardori nella sua versione originaria, ora corrotta dallo spirito furbesco e un po’ sottoborghese. Ma lui conserva ancora una traccia di candore, buona fede e umanità, assente invece nell’Avvucato.
Comunque è una figurina che viene da lontano, è un portatore sano di cultura meridionalista, nel senso che ne è inconsapevole e immune. Quando apparve sulla scena nazionale predissi: “Me lo vedo fra trent’anni con le sue dichiarazioni ai tg a rivendicare la rivoluzione o la reazione, con pari convinzione, a seconda delle circostanze”. Lui ha bruciato i tempi e scavalcato le previsioni. E nacque il Movimento 4 formaggi.
MV, La Verità
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