Per la presidenza francese del G7 quest’anno il ministro dell’Economia Bruno Le Maire aveva indicato un obiettivo: far sì che tutte i protagonisti dell’economia versino una quota corretta di imposte. «Tasse zero o molto basse sono inaccettabili, non è giusto che le grandi imprese siano autorizzate a eludere».
L’irritazione del governo di Parigi aveva investito in pieno l’Olanda, accusata di agire da paradiso fiscale per le multinazionali nell’area euro. Resta da capire se la posizione francese cambierà da questa settimana: come primo azionista di Psa Peugeot al 13%, Le Maire partecipa al controllo del colosso dell’auto che sta nascendo dalla fusione con l’italo-americana FCA. E che ha fissato la sede legale, per ragioni fiscali, a Amsterdam. Per il sindacato transalpino Cfdt è una scelta «oggettivamente scandalosa».
Qualcun altro potrebbe descriverla invece come la punta di un iceberg così complesso da mettere alla prova la coerenza di chiunque. Perché in Europa non solo i grandi gruppi industriali, ma sempre più anche certi piccoli imprenditori e gli individui in grado di vivere di rendite sono soggetti a leggi parallele. Perfettamente regolari, ma diverse e più morbide rispetto a quelle alle quali sottostanno centinaia di milioni di europei meno ricchi, meno preparati, meno capaci di divincolarsi fra le autorità fiscali dei diversi Stati.
Così le tasse in Europa, anche sulle persone, viaggiano sempre più su due velocità: pesanti e sorrette da controlli capillari per la popolazione meno mobile e meno ricca; lievi e sapientemente ritagliate per i pochi altri che hanno ricchezza, talenti unici e società articolate fra le diverse giurisdizioni.
La traiettoria fra queste due galassie è ormai così divergente che rischia di diventare un problema politico, ora che in Italia il governo si prepara a una (opportuna) stretta su milioni di piccoli esercenti e lavoratori autonomi. Da una parte ci sono le sanzioni per chi rifiuta i pagamenti con carta o l’ occhio del Grande fratello fiscale che incrocia i dati delle fatture e dei conti bancari. Dall’altra un universo di individui facoltosi, non ancorati al territorio e legalmente (quasi) liberi dalle tasse.
Che qualcosa di profondo si stia muovendo in Europa lo si nota dai dettagli: dal 2009 la popolazione di Cipro è aumentata dell’ 8,5% e quella di Malta del 16%. Circa 160 mila persone si sono trasferite in quelle due piccole isole nel Mediterraneo e il fenomeno è alimentato da cittadini in gran parte europei che chiedono regimi di favore e dai «residenti non domiciliati» («non-dom»).
Nel primo caso, a Malta, bisogna comprare ad almeno 270 mila euro o affittare ad almeno 10 mila euro l’anno una casa o occorre investire almeno 250 mila euro in titoli di Stato della Valletta e dare prova di altre due condizioni: redditi da almeno 100 mila euro l’anno fuori dal Paese o un patrimonio di almeno mezzo milione. Chi lo fa può essere tassato al 15%.
Quanto a Cipro, le condizioni sono simili ma più leggere (redditi da 30 mila euro e altrettanto depositato in una banca locale). Poi ci sono gli schemi per i «non-dom», legalissimi se applicati con scrupolo. L’azionista di un’ azienda finanziaria può essere tassato una volta sola al 5% su tutti gli utili dell’impresa generati all’estero e portati a Malta e anche sui suoi dividendi, se la holding della sua società maltese si trova in un sistema che non applica la ritenuta alla fonte sui redditi da capitale di quella persona: Lussemburgo e Gran Bretagna fra gli altri. Malta offre poi forti sgravi a chi arriva a lavorare con competenze digitali, per esempio per i siti del gioco d’azzardo.
Si chiama «competizione fiscale», legittima in base a una sentenza della Corte di giustizia europea del 2006 a favore del colosso Cadbury-Schweppes.
Del resto non sono solo a Cipro, a Malta o Montecarlo i governi in Europa che danno sfogo alla propria creatività pur di attrarre ricchi dagli altri Paesi che poi comprano immobili, assumono, spendono per beni e servizi.
Lo fanno anche quelli che protestano di più contro i paradisi fiscali degli altri. L’Italia ha quella che andrebbe chiamata la «legge Ronaldo», introdotta nel 2017 a gran beneficio del campione della Juventus: 100 mila euro di «tassa piatta» per 15 anni su tutti i redditi di fonte estera – dagli sponsor, per esempio – per chi arriva da fuori (norma popolare anche fra chi gestisce i crediti in default sulla piazza milanese). La Spagna ha la «legge Beckham».
La Gran Bretagna ormai è il regno dei «non-dom». E la Francia ha il «passeport talent» che attrae verso Parigi uomini e donne di Finanza dalla City. Regimi brutalmente di favore per i redditi esteri dei ricchi «non-dom» si trovano anche in Ungheria, Bulgaria, Lettonia, Lussemburgo, Grecia, Portogallo, Gibilterra, Olanda, Belgio, Svizzera, Irlanda. Solo per restare all’Europa. Inevitabile forse data la concorrenza fra Stati per attrarre chi può spendere. Magari anche utile per un’economia locale. Ma vallo a spiegare al primo che prenderà una multa perché non ha il pos.
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”