Dalla PESD, politica europea di sicurezza e difesa, alla PESC, politica estera e di sicurezza

Dalla PESD, poliica europea di sicurezza e difesa, alla PESC, politica estera e di sicurezza

“Ma affinché scatti la consapevolezza nei governanti della necessità di unire le forze sulle questioni fondamentali, occorre che vi sia anche la consapevolezza che il resto del mondo non sta ad aspettare il processo di integrazione dell’Unione europea. L’Europa, in sostanza, non può restare ferma a guardare ancora per molto.”

Come  sottolineato dal nostro Mario Draghi  ai ministri dell’economia a Gand, nel suo intervento sulla competitività, occorrono risorse  per la difesa e per gli investimenti produttivi

La guerra , anzi, le guerre,  in atto ci riguardano tutti. Non ci piace ma così è. Inutile fare gli struzzi.

La Russa Ucraina, ormai lunga due anni, anche se sembra ieri, ha svegliato da un sonno pacifista le nazioni del vecchio continente.

Prodromi ce n’erano, in verità, in Georgia e il colpo di mano in Crimea,  ma si sperava che  la Russia  potesse essere più accomodante nel teatro europeo, anche se a Mosca, da tempo,   si percepiva e considerava    pericolosa l’espansione della Nato e, in particolare, dell’Europa.

Il timore, per usare un eufemismo, di  un allargamento verso oriente della UE,  con la  reale possibilità che anche l’Ucraina venisse inglobata nel meccanismo di libero scambio europeo, ha pesato più dell’espansione dell’Alleanza Atlantica nella decisione di procedere all’invasione

Una Kiev nell’Ue avrebbe fatto cessare la libertà di circolazione di persone e beni tra la Russia e Ucraina

Le risorse minerarie  del Donbass  e quelle di idrocarburi nell’offshore della Crimea, non potevano essere sottovalutate da Kremlino come canale  privilegiato di approvvigionamento e interscambio.

Quel 24 febbraio 2022 è stato quasi uno shock per alcune cancellerie europee nonostante i segnali premonitori, e, di conseguenza,  il problema della Difesa è tornato  in prevalenza nell’agenda politica delle nazioni del  nostro vecchio , abbastanza malandato e poco coeso continente,  che da  troppo tempo si adagiavano  nell’idea di  avere a disposizione l’ombrello militare statunitense per la propria sicurezza.

Una Difesa comune per staccarsi da Washington?

Arretrando nel tempo rispetto a quel febbraio 2022,  si nota questa “culla” statunitense, non è stata così comoda come si possa pensare: il presidente Macron, nel 2019, aveva definito la Nato come “cerebralmente morta”  a causa  della decisione di Washington di ridurre le truppe nel nord della Siria senza aver consultato l’Alleanza. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso europeo,  è stato il ritiro unilaterale dall’Afghanistan nell’agosto 2021, o meglio la gestione unilaterale di quel ritiro che ha avuto le caratteristiche di una nuova “caduta di Saigon”.

In seguito  la presidente della Commissione Europea Ursula von Der Leyen, a metà settembre,  nel suo discorso sullo Stato dell’Unione,  ha infatti  individuato le prime linee guida per  dotare l’Ue di uno strumento militare condiviso, imperniato in una prima Expeditionary Force a composizione mista e a comando interamente comunitario della consistenza di una brigata rinforzata.

Di “esercito europeo” si  parla da anni, e l’Ue ha stabilito, da tempo, unità militari multinazionali solitamente  composte da 1500 effettivi ciascuna che dovrebbero formare la capacità militare di reazione rapida per rispondere alle crisi emergenti e ai conflitti del globo: gli Eu Battlegroups

Tralasciando la lunga e travagliata nascita di questi battaglioni, è interessante sottolineare come essi siano l’espressione di una volontà franco-anglo-tedesca e che, una volta uscita Londra dall’Ue, il dossier della Difesa comune sia rimasto nelle mani di Parigi e Berlino.

Questi gruppi tattici non sono mai stati utilizzati dal raggiungimento della piena capacità operativa nel 2007, nonostante le numerose opportunità di farlo: il loro mancato utilizzo e il calo dell’impegno politico a coprire il turno previsto di contribuzione delle forze significa che quello strumento non è riuscito a raggiungere il suo scopo primario.

Sostanzialmente gli Eu Battlegroups erano diventati l’emblema del divario di capacità/aspettative nella sicurezza e difesa europea, almeno fino all’avvio della nuova politica comunitaria sulla Difesa

L’Ue ha stabilito una linea temporale per l’operatività della forza di intervento rapido (l’Expeditionary Force) con termine ultimo al 2025 e che ha visto la sua prima esercitazione a ottobre del 2023 in Spagna, che però ha coinvolto 2800 soldati provenienti da Austria, Francia, Ungheria, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo e Romania (la seconda esercitazione, verrà effettuata nella seconda metà del 2024 in Germania).

La strada sembra quindi tracciata, considerando che questa forza iniziale di 5mila uomini dovrebbe essere il fulcro di un contingente più grande, di 50mila unità

È  chiaro, comunque, che la nascita del primo nucleo dell’esercito europeo non elimina la partnership con la Nato: la presidente Von Der Leyen aveva infatti ribadito il legame con l’Alleanza Atlantica. L’Ue in ultima istanza può e deve “fare da sola” in qualità di “security provider” nel nostro vicinato e anche oltre, perché è un “giocatore globale”.

In questo senso è emblematica la definizione di quella che sarà una strategia indo-pacifica europea per essere più presenti e attivi in quel teatro fondamentale diventato, da tempo, il fulcro della geopolitica globale.

Nessun isolazionismo Usa alle porte. dunque

Bisogna poi considerare che l’agenda politica statunitense, da tempo, ha come primo obiettivo l’Indo-Pacifico indipendentemente dal colore politico dell’inquilino della Casa Bianca.

Del resto gli Stati Uniti hanno sempre dimostrato, nella loro storia, di perseguire la propria grand strategy di politica estera al di là delle differenze partitiche: a cambiare, semmai, sono state le considerazioni sull’utilità di un determinato impegno, quindi per motivazioni del tutto contingenti.

Il fil rouge che accomuna l’amministrazione Trump a quella di Biden, ad esempio, è il contenimento della Cina nel Pacifico Occidentale, ed entrambe le amministrazioni, fattualmente, stanno lavorando per “responsabilizzare” l’Europa per quanto riguarda la questione russa, se pur con una dialettica molto diversa.

Dal punto di vista di Washington, il problema è il contributo relativamente modesto degli alleati europei alla propria sicurezza collettiva, nonostante l’aumento della spesa per la difesa in paesi come la Germania

Alla luce delle responsabilità degli Usa nell’Indo-Pacifico, l’amministrazione Biden è comprensibilmente cauta nell’assumersi l’onere di un ulteriore impegno di difesa – nei confronti dell’Ucraina – che, anche se gli europei sono colpiti più direttamente, ricadrebbe principalmente sugli Stati Uniti.

La stessa questione è affrontata – nuovamente – da Trump se pur con toni diversi, molto più tranchant come è caratteristica del personaggio attualmente impegnato nella sua campagna elettorale, ma chi pensa che una sua vittoria possa portare a un isolazionismo statunitense si sbaglia.

Come detto, gli Usa hanno una visione strategica grossomodo univoca, e in questa visione non è contemplato ritirarsi dall’essere presente nei maggiori teatri di crisi, pena la crescita dell’instabilità generale e la sua diffusione

Se è vero che Washington chiede maggiore responsabilità all’Europa per il “burden sharing”, la condivisione del peso, della Difesa, è altresì vero che l’Europa resta uno scacchiere prioritario, se pur secondario in questo periodo storico, per gli interessi statunitensi e la presenza militare Usa in Europa non sarà mai messa in discussione, tanto meno la paventata uscita dalla Nato di trumpiana memoria.

All’Ue serve più che mai una Difesa comune

L’Ue, quindi, non deve procedere speditamente verso una Difesa comune per il rischio di venire abbandonata dagli Usa, ma per avere autonomia strategica e quindi più peso politico e nel consesso internazionale.

Per Difesa, è bene precisare, non intendiamo solamente la fondazione di un esercito europeo, ma anche di un sistema maggiormente integrato e razionale di quello che viene definito come “ecosistema Difesa”, ovvero la sinergia tra industria, accademia e forze armate che è stato solo parzialmente individuato dalla “Bussola Strategica” europea.

Internamente persistono ancora troppe rivalità, dettate da protezionismo, perché possa avvenire una piena integrazione, e soprattutto si sta delineando un Paese solo – la Francia – come leader del sistema di difesa comunitario che porta con sé il rischio di una politica estera e di Difesa asservita agli interessi di Parigi, che sono diversi sotto molto aspetti da quelli dell’Ue.

Ulteriore problema, è la sostanziale assenza di una politica estera comunitaria univoca, fattore che incide direttamente e pesantemente sul possibile uso dello strumento militare europeo

Si può teorizare la creazione di un “consiglio di sicurezza” europeo, formato dalle nazioni più importanti  a livello  economico/militare (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) con un membro a rotazione tra le altre per poter avere un processo decisionale più snello e agile.

“Sicurezza, difesa, unità, istituzioni Ue: questi i temi dell’incontro del Laboratorio Europa dell’Eurispes, svoltosi lo scorso 18 dicembre, al quale hanno partecipato il Prof. Umberto Triulzi, il Segretario Generale dell’Eurispes Marco Ricceri, l’Amb. Rocco Cangelosi, la Prof.ssa Myrianne Cohen, il Prof. Francesco Gui, la Prof.ssa Rosella Di Bacco, il Dott. Tommaso Di Fazio, il Prof. Sandro Guerrieri, la Dott.ssa Maria Grazia Melchiorri, il Dott. Giuseppe Davicino e il Prof. Maurizio Franzini. L’Amb. Rocco Cangelosi ha per primo introdotto e analizzato gli àmbiti interessati dal dibattito del Laboratorio Europa

La guerra in Ucraina, la decisione dell’Europa di avviare le trattative per l’ingresso del paese nell’Unione e quindi anche dei sei paesi balcanici che ne avevano già fatto richiesta – oltre alla Moldavia e alla Georgia – sono tutti elementi che pongono delle sfide  di sicurezza  non indifferenti per il futuro dell’Unione

L’allargamento politico del progetto europeo ai paesi dell’Est deve  dunque considerare la necessità di una nuova programmazione economica, politica, sociale ma anche militare e di sicurezza. La potenziale crisi dell’Alleanza Atlantica, minacciata dalla vittoria di leader sovranisti che hanno più volte manifestato scetticismi rispetto alla permanenza dei propri paesi nell’Organizzazione (come Trump negli Stati Uniti, ndr), pone l’Ue di fronte alla possibilità di un sistema di difesa comune. Dal punto di vista economico, i bilanci degli Stati membri dell’Ue in materia di difesa costituiscono una spesa enorme ma dissipata da un’assenza di programmazione e coesione.

Per poter investire fondi per una difesa comune, si dovrà ipotizzare un progressivo disimpegno finanziario degli Stati europei dalla Nato,  mentre  la politica di difesa europea dovrebbe comunque essere impostata in maniera complementare alla Nato, e non alternativa.

A questo punto, la soluzione è politica.

Bisogna convincere gli Stati ad unire le forze e ad assumersi le responsabilità politiche per perseguirla.

L’allargamento a Est del progetto europeo necessita una nuova programmazione economica, politica, sociale”.

“La Prof.ssa Myrianne Cohen ha posto l’accento sul tema economico: il bilancio viene modulato in conseguenza di una minaccia geopolitica importante e, quindi, non si pone il problema della mancanza di fondi. Resta però da definire che cosa sia una minaccia, quale possa essere la sua natura, quanto questa minaccia spinga i leader europei ad assumere la scelta politica di investire risorse nella difesa comune per le Istituzioni e i cittadini dell’Ue. Il Prof. Sandro Guerrieri ha evidenziato invece i rischi dell’allargamento dell’Unione europea: in passato questa politica ha funzionato, ma ha determinato una differenziazione troppo grande nella definizione della politica estera comune. Questo pone delle serie difficoltà nella scelta di una posizione europea univoca nel contesto delle relazioni internazionali, soprattutto in situazioni di tensione come quelle in Medio Oriente o in Ucraina. Per questo l’Ue dovrebbe tornare a reinvestire nello sviluppo di una politica diplomatica per rendere l’Unione un attore di pace o, quanto meno, di dialogo, a livello internazionale. Il Dottor Tommaso Di Fazio ha invece espresso i suoi dubbi sul progressivo sganciamento dall’Alleanza Atlantica: «Realisticamente siamo certi di poter assumere decisioni diverse da quelle della Nato?». Almeno finché non torneremo a coltivare i valori europei e a ritrovare il senso dell’Europa unita, secondo Di Fazio la risposta è negativa. La discussione va dunque oltre la difesa, e implica la necessità di affermare il principio della condivisione delle competenze tra i Paesi membri, tra cui la difesa, abbandonando ogni tipo di istinto nazionalista.

Laboratorio Europa, serve una grande iniziativa con le associazioni interessate per affrontare i temi europei

Il Prof. Triulzi, che ha presieduto l’incontro del Laboratorio Europa, ha evidenziato la necessità di dar vita ad una grande iniziativa – che veda la partecipazione di numerose associazioni interessate, come il Laboratorio dell’Eurispes – per affrontare i temi europei in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo. Avviare una discussione con altre realtà associative e culturali potrebbe accentuare la risonanza delle discussioni interne all’Eurispes e riportare il dibattito sul futuro dell’Unione europea al centro dell’agenda politica dei governi. La proposta, in concreto, vuole dar vita ad una serie di documenti riassuntivi delle riflessioni emerse, per presentare poi delle raccomandazioni concrete ad uso del Governo italiano e degli altri Stati membri. Ma affinché scatti la consapevolezza nei governanti della necessità di unire le forze sulle questioni fondamentali, occorre che vi sia anche la consapevolezza che il resto del mondo non sta ad aspettare il processo di integrazione dell’Unione europea. L’Europa, in sostanza, non può restare ferma a guardare ancora per molto.”

Leggi anche: https://www.adhocnews.it/sistema-ferragni…no-il-borsell

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