Il mondo di Dante era inscritto nella triade di Aristocrazia fondiaria, chiericato pauperistico dell’Ora et Labora e nel contadiname legato alla terra per la produzione dei beni d’uso. Lo scambio non andava oltre le strette necessità di sopravvivenza. Fino a che una formidabile urbanizzazione cambiò le vecchie carte in tavola.
Così la Moneta e lo scambio della Moneta si venne manifestando come forma di corruzione delle coscienze, che rende il cor dei monaci si folle, e di alterazione della vecchia stabilità sociale. Anche l’Etica diviene dominio dei ceti nuovi dediti ai subiti guadagni. La ricchezza è il nuovo criterio di valutazione della personalità. Il mondo e la società andavano in una direzione, ma Dante guardava indietro. Ogni cambiamento era per Lui fattore di disarticolazione e negazione di sicurezza ed ordine ideale, teologico e pratico/politico.
In questa vera e propria guerra tra classi vecchie (piccola nobiltà) e nuove (i mercanti presto dediti alla accumulazione finanziaria e fondiaria), scrisse Gramsci in Q VIII dal carcere, Dante sogna l’abolizione della lotta di classe sotto il regno di un potere arbitrario e superiore ad ogni articolazione comunale o statale.
Nel 1999 Edoardo Sanguinetti ebbe buon gioco a definire Dante “reazionario” ovvero nemico della evoluzione della società italiana.
La domanda semmai è quanto di questa vecchia summa ideologica rimanga patrimonio di una destra moderna, conservatrice di valori etici identitari ma progressiva nella difesa dei ceti deboli contro il dominio dei monopoli della finanza globale e capace di recuperare senso ideale e la funzione politica dello Stato Nazionale.
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