DIFENDERE LA LEGGE 194 NON SIGNIFICA NON ESSERE ‘PRO-LIFE’. E VICEVERSA
Da ben prima della promulgazione della Legge 194, riguardante l’Interruzione Volontaria della Gravidanza, il dibattito sull’aborto si è sempre risolto in uno scontro muro contro muro, con le parti arroccate su posizioni precostituite, sorde ad un confronto profondo nel merito
Ancora oggi, dopo 47 anni, il dibattito si esaurisce in uno scontro rigido, spesso basato su slogan asettici, che privano il confronto della complessità necessaria ad affrontare un tema etico e sociale, che impatta profondamente su due vite, quello della donna e quello dell’embrione.
Scontri che esulano dal contesto della legge stessa e che vedono confrontarsi posizionamenti specularmente radicalizzati in una diatriba che vede coloro che giudicano l’aborto come un diritto inalienabile, senza se e senza ma, da un lato, e coloro che lo considerano un delitto da evitare ad ogni costo, dall’altro, qualsiasi conseguenza abbia. Sulla vita della donna, sulla vita del nascituro, sul contesto sociale in cui entrambi si inseriscono.
Innanzitutto, però, bisogna ricordare quale sia il quadro normativo approntato dalla Legge 194 che non regola unicamente l’Interruzione Volontaria della Gravidanza, ma che parla anche della Tutela Sociale della Maternità
Il prologo della Legge stessa è molto chiaro: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”
Quindi, non viene solo normato l’accesso alla pratica medica, ma viene dato indirizzo affinché, soprattutto gli Enti Territoriali, approntino l’apparato utile ad evitare che il contesto economico e sociale della donna la indirizzino verso l’interruzione della gravidanza.
Oggi, oltre il 75% delle interruzioni volontarie della gravidanza ricadono in motivazioni economiche. Donne che si sentono senza risorse, senza supporto, senza futuro, alle quali vietare l’accesso all’aborto, senza fornire alternative, costituirebbe ulteriore violenza, aggiuntiva alla durezza di una scelta fatta, spesso perché non si vedono altre vie d’uscita
Una politica di sostegno reale alla vita, quindi, non può partire dal presupposto unico di vietare l’aborto, prescindendo dal sostegno alla donna alla quale fornire aiuto, assistenza, accoglienza e supporto, privo di giudizi morali, per fornire un’alternativa valida ad una scelta spesso sofferta, ma quasi obbligata.
Consultori e Centri di Aiuto che non devono limitarsi ad essere meri centri di propaganda, ma che abbiano competenze di ascolto e risorse di sostegno, per accompagnare e convincere, non per giudicare e vietare.
Aborto che deve diventare l’ultima ratio di fronte ad alternative concrete, sostegno economico e sociale, aiuto quotidiano in contesti spesso derivanti da emarginazione
È tempo di affrontare il tema non come un campo di battaglia politico a forza di slogan, ma entrando approfonditamente nel merito.
Se l’aborto è un diritto sancito dalla legge e non può essere toccato, si deve lavorare affinché, nel 2025, la donna abbia tutti gli strumenti alternativi per fare una scelta diversa.
Non uno scontro tra “pro” ed “anti”, ma un lavoro condiviso che possa portare a criticare l’aborto, senza giudizi su chi si trova costretta a viverlo e ad esserne favorevoli, senza chiudere gli occhi davanti alle motivazioni per cui si giunge allo stesso
Un tema profondamente etico che deve esulare dalla propaganda elettorale per essere affrontato con l’umanità necessaria ad andare oltre la norma scritta. Oltre il giudizio. Oltre l’approccio morale o politico.
In fondo si può essere pro-life senza sentirsi moralmente superiori e, per questo, giudicanti ed antiabortisti, come si può essere facorevoli alla Legge 194, senza per questo non adoperarsi in ogni modo affinché vi siano sempre alternative disponibili ad evitare la soppressione di una vita futura.
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