Disastri e murphologia navale

Immagine spettacolare della collisione del 7 ottobre tra due navi a Nord di Capo Corso

La recente collisione fra la motonave tunisina Ulisse, che trasportava camion e auto e la portacontainer cipriota CLS Virginia, avvenuta il 7 ottobre scorso a 15 miglia a nord di Capo Corso ha ricevuto una breve attenzione mediatica non tanto per l’incidente in se’ ma per il possibile disastro ecologico causato dalla fuoriuscita del carburante della portacontainer. Il sinistro infatti è avvenuto in una area impropriamente chiamata “Santuario dei Cetacei 1 per i frequenti avvistamenti di questi mammiferi – e non pesci come è stato detto in più di una occasione – situata tra Corsica e la Liguria.

Appena appurato che erano iniziate le operazioni di contenimento e di ripulitura della macchia di carburante e che quindi i cetacei non rischiavano più di diventare reliquie nel santuario, l’interesse mediatico è calato e nessuno se ne è più interessato a parte qualche trafiletto di poche righe nelle pagine interne dei giornali.

Gli unici al momento a seguire con interesse gli sviluppi dell’incidente sono gli abitanti delle zone costiere che potrebbero essere direttamente coinvolte, come l’Isola di Capraia dove sembra però siano più preoccupati per la “Sagra del Totano” in programma per il prossimo mese.

Forse non siamo più popolo di navigatori

È possibile che lo sconvolgimento causato dal crollo del Ponte Morandi attiri ancora tutta l’attenzione dei liguri ed in particolare dei genovesi, oppure non essendoci state – fortunatamente – delle vittime, il fatto passi in secondo piano. Ma il sospetto è che si sia persa la secolare tradizione marinara che ha caratterizzato la popolazione delle coste tirreniche o forse l’economia di queste aree non è più così strettamente legata al mare come una volta; fatto sta che in altri tempi l’ipotesi che all’origine dell’incidente avvenuto all’alba in condizioni del tutto normali (forza 3,  visibilità buona) ci sia stato un guasto al radar avrebbe generato chissà quali caustici commenti tra i frequentatori dei portici di Sottoripa.

Stupisce anche la tiepida reazione degli ecologisti che anche solo un decennio fa sarebbero insorti e che oggi si limitano ad esprimere qualche timida preoccupazione.

Ciò che lascia perplessi è il fatto che nessuno si sia interrogato sulle cause che hanno portato alla collisione tra le due navi, una delle quali ferma, in una zona tra le più controllate del Tirreno.

Mentre ci si accontentava di citare il generico guasto o errore umano, che non vuol dire niente ma accontenta tutti, venivano diffuse informazioni e statistiche volte a dimostrare che i mari e le navi italiane sono i più sicuri al mondo.

In un primo momento qualcuno aveva scambiato la portacontainer per una petroliera, genere di nave che suscita sempre preoccupazioni per la pericolosità del carico e il grande numero che ne circola nei mari italiani 2. Vediamo in cosa consiste questa sicurezza.

Mari “sicuramente sicuri”

La prima cosa che le agenzie si sono affrettate a comunicare è che non si tratta di navi italiane, le quali sono da anni nella cosiddetta white list mondiale, cioè ai primi posti della classifica generale che esprime sia la virtuosità delle compagnie di navigazione che la sicurezza dei mezzi navali.

Nel 2017, sono oltre 150 le petroliere che sono state sottoposte ad ispezione da parte della Guardia Costiera 3 che in cinque casi ha rilevato delle deficienze importanti in uno o più aspetti relativi alla sicurezza o alle certificazioni. Le violazioni accertate ne hanno determinato il trattenimento in porto: tecnicamente le navi risultano quindi detenute con la possibilità di riprendere la navigazione solo dopo il ripristino delle condizioni a norma. Esiste un data base nel

L’area sotto controllo del V.T.S. di Genova, una delle 12 presenti in Italia.

quale sono registrate le caratteristiche delle navi (anno di costruzione, tipologia, bandiera 4) nonché la storia conosciuta (ispezioni effettuate, irregolarità riscontrate, porti di approdo, incidenti occorsi). Ciò consente agli uomini della Guardia Costiera di decidere se e quali mezzi ispezionare.

In prossimità dei porti le ispezioni avvengono con maggiore frequenza e inoltre il traffico viene monitorato con particolare attenzione in determinate aree, come in quella in cui è avvenuto l’incidente.

Diversi sono i sistemi di controllo del traffico navale nel Mediterraneo. Tra quelli più importanti ricordiamo:

Il panorama descritto fin in qui farebbe intendere che tutta la situazione sia sotto controllo, e che – come ha detto in una recente intervista il portavoce della Guardia Costiera – nei mari che bagnano le coste italiane la navigazione sia “…sicuramente sicura!”

Il sistema A.I.S. che grazie ai transponder mostra la posizione delle navi, in evidenza quella delle due navi coinvolte nella collisione.

Allora perché avvengono gli incidenti?

È vero, il rischio zero non esiste mentre l’imprevisto si. Ma si può parlare di fatalità e di errore umano a seguito di un disastro, come se si trattasse di cause inevitabili e congenite in qualunque sistema di trasporti?

In realtà “se qualcosa può accadere” secondo il pensiero murphologico 6 “prima o poi accadrà” ed in ogni caso l’imprevisto non è più tale dopo che è avvenuto. Ma se è vero che non si può prevedere tutto è anche vero che nella maggior parte dei casi in cui si parla di imprevisto come causa di un incidente, si cita un precedente analogo. E questo è chiaramente un ossimoro e non necessita di ulteriori commenti.

Diversamente prevedibile è l’errore umano e dietro questo termine si cela sempre una mancanza, una omissione e in qualche caso anche un comportamento criminale

Il progresso tecnologico ha richiesto sugli aerei una serie di controlli più frequenti ed approfonditi, maggiore preparazione del personale, avvicendamenti più ravvicinati e un aumento dei sistemi di monitoraggio e del numero delle persone coinvolte nel controllo vigile del mezzo sia a terra che in volo. Mano a mano che aumenta la velocità del mezzo di trasporto, diminuiscono i tempi a disposizione per una reazione. Di conseguenza se il mezzo aereo viene giustamente definito il più sicuro, quello navale dovrebbe esserlo ancor di più.

Viceversa sulle navi l’avanzamento tecnologico e l’automazione dei sistemi hanno provocato l’effetto opposto. Senza prendere in considerazione le moderne navi militari che costituiscono un caso a parte, sulle navi mercantili nel tempo c’è stata una progressiva riduzione nelle dimensioni degli equipaggi. Il personale di coperta negli anni d’oro della navigazione transatlantica infatti costituiva una vera folla.

Moderne navi fantasma

La tendenza generale, dopo aver ridotto al minimo l’equipaggio, sembra quella di volerlo eliminare completamente: La Norvegia punta tutto sui cargo-drone, la Rolls-Royce è impegnata a sviluppare un progetto di cargo telecomandato finanziato per 3 milioni di Euro dalla Comunità Europea: un progetto definito folle persino dall’inglese RYA (Royal Yachting Association). Anche Fincantieri sta sperimentando da diverso tempo un tipo di nave completamente automatizzata.

Queste navi sono qualcosa di completamente diverso dal famoso “Mary Celeste7, archetipo delle navi che dopo essere scomparse sono riapparse prive di equipaggio, magari ad anni di distanza e per questo definite navi fantasma, ma mettono ugualmente i brividi.

Proviamo ad immaginare un mare trafficatissimo, con un numero enorme di velisti e diportisti, solcato da una quantità di navi lunghe centinaia di metri telecomandate, o peggio, comandate dall’algoritmo di una intelligenza artificiale.

A parte i problemi di diritto marittimo internazionale creati da questo tipo di imbarcazione, non è eliminando il fattore umano (che rimarrebbe nel caso delle navi-drone) che si aumenta la sicurezza, e non è nemmeno certo che diminuiscano i costi, per cui la giustificazione di simili scelte resta poco chiara.

Dopo la sparizione del marinaio di vedetta sulla coffa del più alto albero delle navi a vela, il secolo scorso ha visto la sparizione di un’altra figura che sin dalle origini della navigazione è stata sempre presente a bordo anche delle più piccole imbarcazioni: il marinaio a prua. Si trattava di colui che con lo scandaglio in mano dava indicazioni sulla profondità del fondale in tratti di mare critici, che di notte o durante condizioni meteo di scarsa visibilità faceva da vedetta nella posizione più avanzata scrutando in direzione della rotta e ancora, in tempo di guerra, era pronto a dare l’allarme al ponte di comando in caso di avvistamento di mine galleggianti, siluri e sottomarini. Entrambi sono stati soppiantati dal radar, dal sonar e dalle potenti fotoelettriche di solito presenti a bordo.

Se una volta, con la propulsione a vapore, era necessaria una squadra di lavoro che tra fuochisti, ingrassatori, meccanici e direttori poteva comprendere sulle più grandi navi di linea decine di persone, con l’avvento dei motori diesel – non essendo più necessario spalare carbone – il numero di macchinisti scese a meno della metà, arrivando in molti casi ad essere di solo tre o quattro persone.

L’introduzione di servomotori, relais e automatismi controllati dall’elettronica, alla fine ha realizzato il sogno proibito del più misantropo dei marinai. Basta pensare che il “Cutty Sark“, il famoso tea clipper 8 di 892 tonnellate di portata lorda varato nel 1869 che ha rappresentato lo stato dell’arte velica per lungo tempo, necessitava un equipaggio di 28 uomini mentre oggi si muovono mostri con portata superiore alle 300.000 tonnellate con meno della metà di quell’equipaggio, disperso su quasi mezzo chilometro di nave.

16 Km di manovre per 3.000 mq. vele del Cutty Sark , rendono l’idea della complessità del governo di una nave di questo tipo.

A proposito del Cutty Sark ricordiamo che fu quasi distrutto nel 2007 da un incendio le cui cause possono essere attribuite alla fatalità e all’errore umano. Secondo gli investigatori che si occuparono del caso, gli operai addetti al restauro dimenticarono un aspirapolvere acceso per ben due giorni ed il motore bruciando fece divampare l’incendio. L’allarme antincendio non scattò per un guasto e non fu possibile utilizzare gli estintori perché erano stati provvisoriamente rimossi dagli addetti ai lavori. Un caso emblematico di murphologia applicata.

Le inevitabili conseguenze della maggiore sicurezza

Paradossalmente l’introduzione di migliori sistemi di sicurezza e procedure di controllo delle criticità introduce nuovi fattori di rischio e non ci mette al riparo dal fattore umano. Quando l’equipaggio è ridotto al minimo, l’impossibilità di un rimpiazzo e l’eccessiva fiducia nella tecnologia possono provocare un rallentamento della vigilanza, specie nelle lunghe navigazioni, dove la routine quotidiana genera un rilassamento. E infatti abbiamo assistito a casi di collisione avvenuti perché l’intero equipaggio dormiva confidando nel pilota automatico e nel sistema di allarme di prossimità del radar.

L’equipaggio di una nave, per quanto abbia mantenuto i nomi dei ruoli tradizionali, ha subito una trasformazione delle capacità professionali. Troviamo quindi a ruolo sempre più tecnici (elettricisti, meccanici ed elettronici) e sempre meno marinai. Per meglio comprendere quanto sia distante dalla realtà la percezione che abbiamo del lavoro in mare facciamo l’esempio del timoniere il cui termine evoca l’immagine del nerboruto in cerata gialla, alle prese con una ruota del timone più grande di lui, inzuppato dalla pioggia e con la barba scompigliata dalle raffiche di vento. In realtà oggi, almeno nella marina mercantile, è una figura molto meno romantica, più somigliante ad un gameplayer col joystick in mano che alla copertina di un romanzo d’avventure per ragazzi.

Ho conosciuto un marinaio (qualifica di imbarco), veniva dalla Valtellina ed era un buon elettrotecnico ma non sapeva fare un nodo, sarà un caso limite ma rende l’idea.

Anche il lavoro di un comandante o di un ufficiale di rotta si è trasformato e la normale attività non è molto diversa da quella che compiamo quotidianamente quando impostiamo la destinazione sul navigatore dell’auto. La semplicità con la quale grandi navi riescono a compiere evoluzioni nello spazio ristretto di un porto affiancandosi ad un molo con la leggerezza di una piuma, non è più affidata all’abilità e all’esperienza del comandante ma alla capacità di ingegneri e programmatori. Sono in pochi ormai a stupirsi per la facilità con cui navi che assomigliano sempre più a dei condomini galleggianti si insinuano negli angusti spazi di un porto come quello di Savona.

Per fare il punto nave e tracciare una rotta ormai basta il GPS e probabilmente l’uso del sestante e del compasso è ormai riservato solo a nostalgici amanti della vela, gli unici forse a guardare ancora la bussola magnetica: gli altri guardano il cellulare.

In conclusione “più i sistemi sono complessi e più sono soggetti a guasti” e la murphologia ci insegna che anche il guasto può derivare dall’errore umano.

E va tutto bene finché il tempo è buono, fino a che funziona il GPS, il radar, la girobussola, i sistemi d’allarme e soprattutto la gente è competente, fa il proprio dovere e non commette errori. Come abbiamo visto nel caso del Cutty Sark anche un aspirapolvere può “affondare” una nave.


1 Santuario è un termine che traduce pedissequamente l’inglese sanctuary, che vuol dire rifugio fraintendendone il significato. Fa il paio con i mammiferi cetacei (balene e delfini) da molti definiti pesci.

2 Il numero di approdi di petroliere nei porti nel 2017 in Mediterraneo solo nei paesi UE ha superato il numero di 12.000 di cui 1.830 in Italia.

3 Dati della Guardia Costiera.

4 L’attribuzione di una nazionalità ad una nave dipende dall’iscrizione in appositi registri che collegano la nave all’ordinamento giuridico di uno stato che viene chiamato Stato di bandiera. Ciò può avvenire a prescindere dalla nazionalità della compagnia di navigazione. Questo fatto ha originato il fenomeno delle bandiere di comodo (chiamate anche in gergo bandiere sporche) cioè navi iscritte al registro navale di paesi dove la tassazione è minima. I controlli sono un’illusione e le certificazioni spesso fornite da compiacenti funzionari. Può capitare di vedere navi “provenienti” dalla Mongolia o dalla Bolivia.

5 Ancora trasmessi giornalmente in FM su Radiouno alle ore 5:45 nell’ambito della trasmissione Bolmar Bollettino del mare.

6 Quello citato è il primo assioma delle leggi di Edward Aloysius Murphy lo scienziato che però le formulò in maniera ironica e paradossale, basandosi su leggi e fatti già noti nelle scienze statistiche.

7 Il brigantino americano “Mary Celeste” non è solo un mistero irrisolto ma è diventato un mito su cui sono state scritte decine di libri e migliaia di articoli: fu avvistato nel 1872 al largo delle Azzorre mentre navigava a vele spiegate verso Gibilterra, senza l’equipaggio che sembrava sparito nel nulla.

8 I Clipper furono navi a vela a tre, quattro o più alberi, adibite al trasporto di merci altamente redditizie e poco ingombranti come il tè o le spezie. Caratterizzate da una grandissima superficie velica, che ne faceva delle navi molto veloci, necessitavano di un equipaggio selezionato. Furono utilizzate sul finire del XIX fino ai primi decenni XX secolo sulle rotte oceaniche. Il “Cutty Sark” è nuovamente aperto al pubblico dal 2012 dopo un parziale restauro durato cinque anni, nel Maritime Greenwich World Heritage, vicino Londra.

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