Aiuto, è finito il ketchup! Il blocco delle fabbriche durante il lockdown ha fatto sparire dagli Stati Uniti, dai fast food e dai ristoranti che cucinano hamburger e patatine fritte l’onnipresente salsa agrodolce di pomodoro.
La penuria ha generato una caccia senza precedenti all’ultimo flacone, all’ultima bustina dell’oro rosso. I cuochi stanno ricorrendo alle misure più estreme, fino a tradire la fedeltà centenaria al prodotto confezionato dalla Heinz, regina mondiale della produzione.
Il “dramma” del ketchup
Qualcuno si spinge ad arraffare dagli scaffali dei discount salse di manifattura anonima, altri fanno incetta delle confezioni più grandi ancora disponibili per poi dispensarlo con inedita parsimonia nei loro locali.
Nonostante gli sforzi, un gran numero di clienti sta sperimentando l’amara delusione di aprire un pacchetto di fragranti patatine fritte da asporto, e non trovare il piccolo contenitore di plastica con il ketchup dentro la busta.
Il Covid ha moltiplicato la fame per il take out e per i drive in, due sistemi di distribuzione del cibo che sembrano disegnati ad hoc per i tempi di pandemia. I clienti ordinano il cibo fuori dal ristorante su schermo digitale o su cellulare, e ritirano alla cassa senza mai avvicinarsi al personale che gestisce il ristorante.
L’affluenza straordinaria ha fatto esaurire le mini bustine di ketchup, dopo che il consumo è salito l’anno scorso oltre i 12 miliardi di confezioni, con un aumento del 15% rispetto a quello precedente.
Heinz
Gli statunitensi consumano 300 mila tonnellate di ketchup ogni dodici mesi, e tributano una fedeltà granitica nei confronti della Heinz, l’industria alimentare che produce il 70% di salsa rossa consumato negli Stati Uniti e l’80% di quello che circola in Inghilterra.
Il ketchup è stato usato con diversi ingredienti nel Regno Unito per tutto il 17mo e il 18mo secolo; Malesia, Cina e Indonesia ne reclamano a loro volta la paternità, nella forma originaria di una salsa a base di pesce. Quello rosso è invece nato negli Usa all’inizio dell’800, con una ricetta che comprende pomodori, acciughe, aceto, zucchero, scalogno, pepe, macis, zenzero e cocciniglia per aumentare la brillantezza del colore.
Le versioni odierne sono semplificate con l’adozione di concentrati, prodotti in polvere e dolcificanti a base di mais. I bambini di tutte le età lo adorano; le mamme più consapevoli ne temono il contenuto calorico.
Israele, come sempre solerte nel proteggere le etichette nazionali, denuncia la presenza di solo un 20% di pomodoro nelle bottiglie importate dagli Stati Uniti, e rifiuta la denominazione a un prodotto che non ne contenga almeno il 60%.
Si corre ai ripari
Tutt’altra la musica negli Usa, dove la mancata disponibilità ha spinto un rincaro del 13% del costo del prodotto lordo. La Heinz sta correndo ai ripari con l’apertura di due nuove fabbriche dedicate all’aumento del 25% della produzione attuale.
Al momento però la carenza continua, insieme a quella di un altro prodotto di vitale importanza per il cibo da asporto: i pepperoni. Questo è il nome che negli Stati Uniti viene dato al salamino piccante affettato, una delle aggiunte più richieste alla fetta triangolare di pizza.
Un intero tappeto di salame che sormonta il pomodoro, la mozzarella, e spesso il parmigiano grattugiato. Anche i pepperoni sono vittima dell’epidemia che ha chiuso a lungo i mattatoi, mentre il settore delle pizzerie ha visto una crescita del 15% nell’ultimo anno.
Flavio Pompetti per “Il Messaggero“
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