Il bombardamento della città di Dresda, avvenuto esattamente 75 anni fa, è uno degli episodi più atroci della Seconda Guerra Mondiale, spesso ignorato dalle ricorrenze perché perpetrato dai vincitori sui vinti e come da sempre succede a scrivere la storia sono i primi e non i secondi.
Era la sera del 13 febbraio del 1945 quando, ben 800 aerei britannici, si manifestarono come una nube nera sopra il cielo di Dresda per sganciare sul centro abitato 1.800 tonnellate di bombe esplosive, più altre 1.200 di bombe incendiarie. In pochi minuti la città diventò un inferno.
Gli alleati avevano bramosia di far male e il giorno 14 febbraio arrivò il turno degli americani: 1.250 tonnellate di bombe alle quali seguirono, la mattina del 15 febbraio, altri 200 bombardieri che rasero definitivamente al suolo lo splendido centro cittadino, ricco di tesori storici ed architettonici e assolutamente privo di obiettivi militari.
Quando la furia distruttrice si placò, non fu comunque la fine della devastazione: l’intensità dei bombardamenti fece salire la temperatura dell’aria fino a 1500°C, attirando aria fredda proveniente dalla periferia. La corrente si trasformò in un ciclone, chiamato in seguito “tempesta di fuoco”, che portò fino ad 8mila metri di distanza detriti di qualsiasi tipo, anche diverse ore dopo, come testimoniato dal pilota di uno dei bombardieri, rimasto egli stesso impressionato dagli esiti dell’azione.
Un bombardamento terroristico a tutti gli affetti, anche se molti storici desiderosi di omologarsi spesso tentano di ridurne l’entità, definitivamente deciso nell’ambito della conferenza di Yalta, tenutasi tra il 4 e l’11 febbraio 1945. Al di là di ogni versione sui numeri non c’erano motivi sufficientemente validi per bombardare Dresda in quel modo. Le modalità con cui venne perpetrato l’attacco non possono che essere definite criminali: gli attacchi furono portati a termine ad intervalli di 2-3 ore, questo per attrarre sul posto quante più unità di soccorso possibile per poi distruggerle operando sulla loro testa il blitz successivo.
Le direttive date dal comandante in capo delle squadriglie di bombardamento della RAF Arthur Harris comprendevano la distruzione delle abitazioni civili, con l’obiettivo di colpire lo stato d’animo e il morale del popolo tedesco.
I morti accertati sono tra i 25.000 e i 50.000 ma alcune stime raggiungono addirittura i 250.000 decessi. È difficile stabilirlo con certezza, a Dresda vivevano quasi 650.000 abitanti e ad essi vanno aggiunti oltre 200.000 profughi in fuga dai sovietici, non solo di nazionalità tedesca ma anche provenienti dai Paesi confinanti, gente che temeva l’arrivo dell’armata rossa e cercava protezione in Germania.
Una commissione di esperti ha stabilito che sicuramente qualche decina di migliaia di vittime non abbia lasciato traccia, viste le temperature infernali dovute alla “tempesta di fuoco”. I profughi, inoltre, non erano censiti.
I bombardamenti, del resto, si concentrarono sul centro cittadino, polverizzando oltre 24.000 abitazioni, sulle poco più di 28.000 esistenti e con esse chiese, musei, opere d’arte e sontuose costruzioni architettoniche, meravigliose testimonianze gotiche e barocche andate perse per sempre. Un’area di 15 chilometri quadrati, dove si trovavano esclusivamente civili, fu completamente rasa al suolo.
Risulta quindi evidente come si sia voluto operare una precisa distruzione punitiva di una città simbolo della cultura tedesca. Dresda, non a caso, viene ancora oggi chiamata la “Firenze sull’Elba”, centro dell’umanesimo barocco, città d’arte per eccellenza della Germania. Anche uno storico inglese come Richard Overy, ha specificato come gli Alleati, con i loro bombardamenti terroristici, abbiano violato sistematicamente il diritto bellico allora vigente, perpetrando crimini di guerra che li hanno seriamente screditati da un punto di vista morale.
E fu così che la Firenze dell’Elba, una città punto di riferimento culturale di tutta Europa, venne rasa al suolo, con tutte le sue bellezze artistiche ed architettoniche.
Nella foto: Lo “Städtische Kunsthalle”, il museo d’arte della città.
Per questo crimine di guerra, non ha pagato nessuno.
Anzi, non viene considerato crimine contro l’umanità perché farlo “significherebbe equiparare gli alleati ai nazisti”. Sbagliato. Le centinaia di migliaia di civili, donne, bambini e anziani arsi vivi, o i loro parenti, amici e compagni di sventura, costretti a vagabondare per giorni letteralmente bruciati alla ricerca di un goccio d’acqua, prima o poi dovranno avere giustizia, se non altro quella della giusta memoria.