Le direttive che arrivano dalla Nigeria sono chiare: “Prendersi l’Italia, dividerla in vari campi e insediarsi a seconda della matrice della gang”. È quanto emerso dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Bari che ieri ha portato all’arresto di 32 aderenti ai clan della mafia nigeriana.
In principio erano i “cult”. Confraternite universitarie nate negli anni ’70-‘80 che durante la transizione democratica in Nigeria iniziano a mettersi al servizio dei potentati locali in lotta, fino a trasformarsi in vere e proprie organizzazioni criminali. Black Axe, Eiye, Vikings, Maphite, Black Cats: sono i nomi dei clan più spietati. La prima apparizione in Italia risale al 1995, ma bisogna aspettare la metà degli anni 2000 perché arrivino le prime segnalazioni degli 007 sulle attività criminali gestite dagli africani. Nel 2011 è la stessa ambasciata nigeriana a Roma ad avvertire l’intelligence della presenza in Italia di referenti delle sette di Lagos e Benin City. La nostra penisola viene considerata da sempre come una base strategica. Quella nigeriana, infatti, come chiarisce la Dia nell’ultimo rapporto inviato al Parlamento, è una mafia a “spiccata vocazione internazionale”, che per espandersi sfrutta i flussi migratori. I tentacoli dei “cult” si estendono sui traffici più redditizi: dalla tratta degli esseri umani, alla droga, passando per la prostituzione, la compravendita di organi e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La prima condanna per associazione mafiosa arriva nel 2006 a Brescia. Ventitré nigeriani vengono accusati a vario titolo dei reati più disparati, compresi quelli “commessi con l’obbiettivo di imporsi nel controllo del territorio in danno di altri gruppi criminali”.