DUE CENTRINI NON FANNO UN CENTRO

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DUE CENTRINI NON FANNO UN CENTRO

Le polemiche e certe manovre interne alla maggioranza di Centrodestra, nonché il dibattito sviluppatosi nella politica italiana all’indomani della rielezione della Van der Leyen, hanno rilanciato l’idea di un “Centro”.

Si scontrano così attualmente due progetti strategici

Uno di ispirazione “democristiana”, caldeggiato da Rotondi e da alcuni notabili locali del vecchio scudo crociato, punta a creare una mini-DC nell’intento di rafforzare la maggioranza di Centrodestra dando copertura politica alla premier Meloni sul versante cattolico.

L’altro, promosso da Tajani, è invece di ispirazione “popolare” (nell’accezione europeista del termine) e punta a trasformare la piccola Forza Italia in una più vasta area di confronto e dialogo tra Centrodestra e Centrosinistra.

Confidando anche nel positivo rapporto del Gruppo Fininvest con Matteo Renzi, chiamato per l’occasione ad un ruolo di cerniera data la sua attitudine ad una navigazione centrista nel mare magnum della Sinistra.

Quest’ultimo è indubbiamente un progetto tanto ambizioso quanto insidioso, il cui sogno inconfessabile resta quello di dar vita ad una nuova maggioranza all’Ursula maniera

Anche se la realtà lo porterà nell’immediato a fungere soprattutto da elastico per allargare i confini del Centrodestra.

È interessante però notare che ambedue i progetti pensano ad un “Centro” in funzione marginale, quando non addirittura subalterna, ai principali schieramenti di Destra e Sinistra. Niente a che vedere insomma con l’immagine tradizionale del “Centro” quale luogo privilegiato e incontornabile del sistema politico, in grado di riunire in sé o attorno a sé Destra e Sinistra.

Siamo quindi di fronte a due “centrini”: a due progetti strategici che entrambi considerano il loro “Centro” una sorta di dio minore destinato unicamente a moderare e limitare i poteri del grande demiurgo che è la Presidente del Consiglio.

La qual cosa ha più dell’esoterico che del politico

Il fatto è che permane in larga parte dell’opinione pubblica una nostalgia per quel “Centro” posto a fondamenta della cosiddetta Prima Repubblica. Tanto da rimpiangere le qualità di astuto equilibrio e di sapiente mediazione che lo caratterizzavano.

Ma è come vagheggiare il tempo che fu e che non torna più. Mancano oggi, infatti, tutte le condizioni per un ritorno in grande al “Centro”. Che in Italia ebbe la sua più alta e nobile espressione nella Democrazia Cristiana, capace di contenere e conciliare in sé aspirazioni di Destra e di Sinistra.

E mancano, queste condizioni, per diverse ragioni

Perché il sistema elettorale ed istituzionale favorisce la polarizzazione dell’elettorato. Perché la base sociale del “Centro”, e cioè il ceto medio, è in via di estinzione.

Perché la cultura della mediazione e gli enti intermedi sono spariti.

Perché l’influenza della Chiesa è drammaticamente evaporata. Perché si è paurosamente ridotta quella sovranità statale che consentiva politiche industriali e assistenziali funzionali alla logica di ricomposizione sociale propria del “Centro”.

E perché l’odierna comunicazione politica, immediata e di tipo sloganistico, si sottrae al necessario tempo della riflessione e dell’approfondimento caro all’agire centrista.

Il ritorno in gran spolvero del “Centro” sulla scena politica è pertanto destinato a rimanere un nostalgico vagheggiamento: una specie di sogno di una notte di mezza estate

Mentre la realizzazione dei due suddetti “centrini” -uno integrato al Centrodestra e l’altro che da Destra guarda a Sinistra- rientra invece nell’ordine delle possibilità concrete.

Dipende molto da quanto accadrà in autunno, quando il Paese si troverà a dover far di conto per affrontare i noti problemi legati al debito pubblico e ai finanziamenti europei.

E a tal proposito non sarebbe male se la politica smettesse di rincorrere formule, giocando con i nominalismi, per occuparsi invece di contenuti programmatici utili alla salvezza di un Paese in pieno declino economico.

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