E così Pier Paolo Pasolini ha ricevuto la tessera ad honorem di iscritto postumo a Fratelli d’Italia. Gliel’ha mandata il suo Capo in persona, Giorgia Meloni, consacrandolo come ispiratore ufficiale della destra nel suo libro, Io sono Giorgia, che capeggia le classifiche librarie. Pasolini è considerato dalla leader ex-missina come autore di “un manifesto politico, conservatore, di straordinaria bellezza e coerenza”; espressione di “un pensiero politico profondo e diffuso che innerva la destra italiana”. Alla vigilia del centenario pasoliniano, non ci potrebbe essere rivendicazione politica più netta, audace e scandalosa.
Non so se qualcuno si sentirà offeso, considerando che negli anni che ci separano dalla sua morte violenta furono in tanti a rivendicarne l’eredità e l’appartenenza. Innanzitutto il Pci, che lo espulse per “indegnità morale” e che poi lo rivendicò come suo figlio e compagno nel giorno della sua morte, considerandolo a torto “intellettuale organico”.
Le sue tesi reazionarie e antimoderne
Poi i radicali di Pannella, che ebbero con lui un rapporto di contrasto e affinità; quindi il variegato molto della sinistra estrema, da Lotta Continua in giù. E i cattolici, soprattutto quelli legati a Comunione e Liberazione, seguaci di don Giussani (e a volte lettori di Giovanni Testori e Augusto del Noce), che lo videro come uno di loro, anzi un loro capo mancato. Quindi la destra, in verità per molto tempo solo la destra culturale e solo superficialmente, occasionalmente la destra politica.
È un oltraggio, una profanazione? No, è uno scandalo di quelli a cui ci aveva abituato lo stesso PPP. Lo stesso Pasolini, del resto, ha disseminato i suoi scritti di tracce e provocazioni; le sue tesi reazionarie e antimoderne, i suoi inni alla “destra divina” e alla “destra sublime”, le sue critiche all’antifascismo, i suoi dialoghi coi neofascisti, la sua “ballata per i giovani missini”.
Del resto, era ancora più scandaloso che Pasolini inveisse contro il Palazzo, il Sistema, la Tv, il Capitalismo e la Borghesia, e poi scrivesse sull’organo ufficiale dell’Establishment, il Corriere della sera, e frequentasse gli schermi della Tv di Stato che voleva abolire…
Il libro della Meloni è un bel racconto di vita e di militanza
Facendo la tara dalle strumentalizzazioni di passaggio – rapaci, becere, meschine – conforta che nella notte della politica, nello spazio vuoto tra l’antipolitica grillesca e trasformista e l’apolitica draghiana ed eurofinanziaria, ci sia ancora qualcuno che parli di cultura politica e di passioni ideali e citi addirittura un poeta a suo sostegno e non un algoritmo o un influencer. Aggiungo tra parentesi che il libro della Meloni è un bel racconto di vita e di militanza, seppur prematura come autobiografia; realtà, passione politica e appartenenza s’incastrano bene e il testo sarà pure aiutato da ghost writer e citazioni non dette, ma non è finto pop; è verace.
Confesso di aver avuto una certa responsabilità nell’aver letto “da destra” Pasolini, ormai diversi decenni fa. Fui io a far conoscere da quelle parti la poesia Saluto ed Augurio di Pasolini, dedicata a un giovane fascista e a far notare che fu la sua ultima poesia, scritta in lingua materna, il friulano; a ritenere la sua poesia Un solo rudere un manifesto conservatore. In una destra ancora diffidente verso Pasolini perché iscritto al Pci, antifascista e marxista, omosessuale e adescatore di ragazzi di borgata, feci circolare quelle poesie, le sue invettive, i suoi scritti civili, le sue definizioni di destra divina e destra sublime, il suo populismo antimoderno.
“Pasolini contro Pasolini”
Ne scrissi in vari libri, dalla Rivoluzione conservatrice (1987) all’Anti900 (1996), dalla Cultura della destra (2002) a Imperdonabili (2017) e in tanti articoli. Tra i quali un paginone che scrissi su la Repubblica a vent’anni dalla sua morte, il 1° novembre del 1995; quel mio pezzo lo ricorda Nicola Mirenzi nel suo libro “Pasolini contro Pasolini” (Lindau). Invece io ricordo che fui attaccato da sinistra dal Corriere della sera con Maria Antonietta Macciocchi ed Enzo Siciliano, per aver osato scoprire l’altro Pasolini. In quel tempo, molto più civile, più colto e più onesto del nostro, potevano avvenire queste circolazioni di idee e questi incroci trasversali, oggi impensabili.
Ma che Pasolini fosse da leggere in quella chiave non lo dicevo solo io; Edoardo Sanguineti lo definiva “reazionario e socialista nostalgico” e Massimo Cacciari lo definiva anch’egli “reazionario”, nei cui scritti “frequentemente ritornano i motivi della più grande e più nobile cultura reazionaria”. E tra i reazionari, anzi “néoréac” lo includeva pure il quotidiano gauchiste Liberatiòn. Ma senza andar lontano se lo diceva lui stesso: “La nostalgia per un modo d’essere” dà talvolta “a Pasolini quasi un timido e sgraziato furore reazionario”.
Pasolini un viaggiatore céliniano
Sgraziato era la parola giusta, perché senza la grazia ma anche senza l’amore per la bellezza, essendo Pasolini un viaggiatore céliniano al termine della notte, nelle brutture, nelle sconcezze, nel degrado e nella violenza delle periferie e dell’umanità marginale. Gianni Vattimo notava che Pasolini avrebbe detestato i gay pride e le nozze gay; lui era in polemica col Fuori, il movimento omosex di allora.
Ed era contro l’aborto… E poi i suoi incontri con Pound e i militanti fascisti, e i suoi scontri con Calvino, gli antifascisti di maniera e i sessantottini figli di papà. Certo, Pasolini resta Pasolini, comunista antimoderno, marxista eretico e reazionario, rivoluzionario e conservatore, spirito religioso in cui la tradizione sfocia nella trasgressione, amante della madre terra e della sue radici (il suo non è patriottismo, semmai matriottismo).
Insomma adottiamo un criterio pratico per distinguere le ispirazioni libere dalle appropriazioni indebite: chiunque può liberamente ispirarsi a chiunque, nessuno può impossessarsi di nessuno. Pasolini è di Pasolini. E poi di chi lo ama e chi lo legge, da qualunque parte.
MV, La Verità
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