È passato esattamente un anno da quando, in un sabato mattina d’ottobre israeliano, la furia e la barbarie si sono abbattute su donne, uomini e bambini
Era il 7 ottobre, esattamene 365 giorni fa, quando abbiamo assistito a quello che è entrato a pieno titolo nel più efferato massacro di ebrei dalla Shoah.
Quel giorno, l’empatia umana è venuta meno. Ha lasciato il posto al più profondo istinto animale, quello che ha spinto uomini a crivellare, trucidare, stuprare, decapitare, esseri umani
E dove non sono stati risparmiati nemmeno gli animali domestici.
1200 persone che dormivano nei propri letti, al sicuro – credevano – nelle proprie case e che alle 06:32 di quel sabato mattina sono state svegliate di soprassalto da grida, spari e sirene di avvertimento. Solo in quella mattinata, Hamas sganciò su Israele oltre 5000 missili. Tra gli abitanti dei kibbutzim colpiti dall’attacco, anche moltissimi sopravvissuti della Shoah, catapultati ancora una volta in quell’orrore. Ed è impossibile non pensare al vaticinio di Primo Levi quando affermò “è accaduto, può accadere ancora”.
Ed è successo.
Quel giorno, sono state raccolte innumerevoli prove fotografiche e videografiche dello scempio compiuto tra i civili e il personale militare israeliano dalla frangia jihadista palestinese di Hamas. Sono immagini forti, atroci, sconvolgenti, non per tutti gli stomaci
In occasione di questo primo anniversario, ho chiesto un’intervista a Federica Iaria, che si batte ogni giorno contro tutte le forme di antisemitismo e antisionismo. Federica ha montato una serie di documentari che raccolgono e descrivono il pogrom del 7 ottobre in tutta la sua cruda efferatezza.
Con uno dei due documentari, tra l’altro, ha anche raccolto la sfida di raccontare la storia di come è nata Israele, perché tutta la propaganda contro lo stato ebraico parte proprio dalla dilagante ignoranza in tal senso.
Ringrazio Federica Iaria fin da ora, non solo per il suo impegno encomiabile ma anche perché ha deciso di parlarci della sua di esperienza in prima persona, avendo perso delle persone a lei care quel giorno.
Ciao Federica, per prima cosa ti chiedo perché hai sentito la necessità di dover dare anche il tuo contributo nel documentare il 7 ottobre 2023?
Per mille ragioni, in primis umane. Perché attonita ho visto reazioni immediate di giubilo nel mondo e ancor peggio di negazionismo e complottismo. E ho capito che la base del meccanismo non cambia, c’è un antisemitismo sopito ma sempre latente, che aspetta la prima occasione per poter urlare. Ancor di più, ho avuto la drammatica conferma della totale impreparazione storica, non solo del mondo in generale, ma anche di persone di cultura, sulla storia di Israele, che anziché essere figlia della conoscenza puntuale degli avvenimenti, è plagiata da una propaganda che ne ha distorto ogni aspetto, fino alle date. E davanti a tutto questo non ho saputo stare ferma.
So che purtroppo hai un coinvolgimento diretto con quanto accaduto quel giorno di sangue e sofferenza, persone a te molto vicine sono state travolte dalla tragedia. Ti va di raccontarci qualcosa di loro? Trovo che sia importate che i lettori capiscano appieno che stiamo parlando di esseri umani
Purtroppo sì, la mattina del 7 ottobre ero a Londra, il mio primo gesto è stato chiamare quella che io chiamo la mia “mammina israeliana”, Eva, che è stata la mia capo-volontari nella straordinaria esperienza fatta in kibbutz per alcuni mesi da ragazza.
Purtroppo già dal tono della sua risposta ho capito che i titoli dei giornali erano solo la punta di un iceberg fatto di sangue, dolore e sofferenza.
I suoi nipoti erano infatti al Nova festival, avevano chiamato i genitori per dire che c’erano i terroristi e, come tanti hanno fatto, per dire che li amavano in caso non ce l’avessero fatta. Come è stato.
Hanno trovato le loro ceneri dentro alla loro auto a 16 km dal Nova Festival, e sono stati riconosciuti dal DNA e resi alla famiglia 11 giorni dopo il massacro. Due fratelli, Noa, bellissima e solare, di 27 anni e Gidi, gioviale e amatissimo, di 24. Non sappiamo cosa sia successo loro in quei 16 km di terrore, cosa possano aver pensato, urlato, pianto, subito, visto. Nemmeno se fossero vivi o morti quando sono stati bruciati.
Se abbiano subito violenza, come le tantissime donne stuprate oltre ogni definizione di selvaggia barbarie. Tutti pensieri e incubi che popoleranno ogni notte, ogni momento di chi li ama. Per il resto della vita. Hanno lasciato un terzo fratello, solo, diventato di colpo figlio unico e che, nonostante questo, ha deciso di arruolarsi per difendere Israele, perchè Hamas ha promesso “tanti 7 ottobre” e lui, nonostante la paura dei genitori, ha sentito di dover impedire altri pogrom, altro accanimento terroristico contro il suo paese, da sempre bersaglio dei paesi circostanti.
L’amara ironia della vita vuole che questi due splendidi giovani, che io ho visto bimbi e ragazzini, fossero pronipoti di una sopravvissuta a Bergen Belsen. Lei è uscita dal campo di concentramento pesando 24 kg, loro sono tornati in due buste ancor più leggere, ma con lo stesso immenso peso del dolore.
Quando le persone vedono i tuoi documentari, come reagiscono? Hai qualche esperienza singolare da raccontarci? Magari anche di abiura di fronte a una precedente ostilità nei confronti dello stato ebraico?
Ho fatto diversi documentari, il primo “Terrorismo e dolore senza confini” è molto duro, esplicito, crudo, proprio perché la disumanità di quanto accaduto il 7 ottobre sia tangibile, incontrovertibile. Sono molti filmati girati da Hamas stesso e storie della ferocia di quel giorno, è un film che alcuni hanno visto a tratti, per prendere fiato, un film per cui ho sacrificato notti scavando nella galleria dell’orrore, ma un film verità. Un film per chiunque abbia dubbi sulla veridicità dei fatti, sull’enormità dello strazio.
Il secondo invece si intitola “Dolore e paura. Il terrorismo non bussa”, questo ha una prima breve introduzione a cosa il 7 ottobre abbia significato, soprattutto attraverso testimonianze e poi ha la parte centrale, il cuore pulsante, quella in cui percorro cronologicamente la storia di Israele dalla fine dell’800 inizio ‘900, a tempi più recenti.
Ecco, vedere la reazione di chi ha visto questa parte del film è stato quello che più mi ha colpito, era una vera e propria rivelazione, lontana dagli slogan che oggi avvelenano l’informazione corretta.
L’ignoranza sulla storia di Israele è uno dei problemi chiave di questo momento. Tutto viene osservato e giudicato attraverso una lente distorta, che sfoca, che impedisce di capire moltissimo del contesto, per mancanza dello strumento primario, il reale andamento della Storia, che non è narrazione, ma dati reali, come fosse la matematica del passato dell’essere umano, non ha interpretazione, è un’impronta precisa.
So che hai presentato i tuoi lavori anche ad alcuni film festival. Come è stata l’accoglienza?
Fortunatamente costruttiva, hanno dato luogo a scambi di punti di vista che hanno portato alla comprensione di alcuni punti cardine, dalla storia, come dicevo, all’incontestabilità di quanto avvenuto il 7 ottobre, all’acquisizione della consapevolezza che Gaza non sia un obiettivo di odio per Israele, i sionisti o gli Ebrei, ma sia la drammatica pedina, come tanti altri paesi, quale il Libano ad esempio, di organizzazioni terroristiche che intrappolano smaccatamente il proprio popolo nel giogo della disumanizzazione e in un indottrinamento così profondo da voler cercare il martirio – anche in Occidente come abbiamo tristemente visto.
Ma il mio, e non solo mio, viaggio di divulgazione è ancora lungo e non so cosa mi aspetti, quanto è certo è che il mondo social, dove non si mette la faccia ma si è nascosti dietro una tastiera, anziché sul dialogo ha puntato sull’insulto se non addirittura sulla minaccia.
Come è certo che alcuni si sentono impunibili dalla legge, e dai loro palchi istighino alla violenza, inneggino al terrorismo, invitino a segnare le case degli Ebrei come in un oscuro passato, ecco per loro aspetto con ansia che la legge faccia il proprio corso.
Hai in cantiere qualche nuovo reportage sul 7 ottobre?
Ho già terminato un breve progetto che verrà lanciato da un’importante testata in occasione proprio del 7 ottobre, a ricordo e commemorazione.
Con altre persone stiamo invece cercando di dare vita ad un Movimento per sostenere fattivamente i tantissimi sfollati, coloro le cui case sono state distrutte, i kibbutzim, le donne che hanno subito violenza e chiunque necessiti di materiale medico, sostegno tangibile o psicologico in Israele. Il progetto è un embrione cui stiamo alacremente lavorando perché diventi presto realtà, non si può continuare a ignorare infatti che sia un dolore enorme per tutti i civili che muoiono, ma questo dovrebbe valere anche per Israele che sta vivendo una guerra, ha visto pressoché spazzata via la propria generazione di ventenni e ha bisogno del supporto del mondo che crede nei valori democratici, a prescindere dal credo politico.
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