Il mondo è entrato nel terzo millennio con una sola idea chiave, fluida e ossessiva, globale e inafferrabile: la modernità liquida. Vent’anni fa, alla fine dello scorso millennio, un sociologo venuto dall’est, Zygmunt Bauman, pubblicò il suo saggio Modernità liquida, tradotto nel passaggio di millennio in mezzo mondo, e in Italia da Laterza. Cominciò un tormentone, prima intellettuale poi mediatico, sull’avvento globale della liquidità, a cui presto si aggiunsero ulteriori corollari sfornati da Bauman in altrettanti libri: società liquida, amore liquido, vita liquida, arte liquida, sorveglianza liquida, paura liquida e via liquefacendo. Un mantra insistente da cui non ci siamo liberati e che nessuno mette in discussione. Perfino l’attrice bisessuale Kristen Stewart, presenta il suo nuovo film lgbt, dicendo di “credere nel sesso fluido”. Bauman è uno dei rari autori letti e citati da Papa Bergoglio, soprattutto a proposito delle vite di scarto, liquidate dalla società egoista: la riduzione della fede cristiana a sociologia comporta come sua conseguenza la sostituzione del pensiero, della teologia e della filosofia, con la sociologia pop, magari radical, come fu quella di Bauman. Scappa qualche ironia su questo nuovo san Gennaro laico col suo miracolo della liquefazione universale.
Che vuol dire modernità liquida? Che è finito non solo il granitico mondo antico ma anche l’epoca solida del progresso; siamo entrati in una fase magmatica, inafferrabile nei suoi rapporti, postmoderna, in cui tutto scivola e il fluire divora ogni persistenza, ogni permanenza, ogni rigidità. Diluvio universale, anzi globale. I rapporti umani e i legami sociali si fanno liquidi e mutevoli, le convinzioni e le identità si fanno labili e fluenti, e via dicendo; le frontiere, i confini spariscono sommersi dalle onde liquide. La liquidità è ovunque (eccetto nell’economia, dove scarseggia).
Potremmo liquidarla come una scoperta dell’ovvio, antica come il cucco, se pensiamo all’acqua come mito universale delle religioni, al principio universale di Talete e ad Eraclito (panta rei, tutto scorre); e insieme banale come la scoperta dell’acqua calda, perché al predominio del divenire sull’essere solido ci avevano pensato da secoli i pensatori della prima modernità. Il predominio della storicità sull’eternità era il segnale di un primato del fluire. Il romanticismo fu l’avvento del liquido in opposizione al solido mondo classico. Marx ed Engels nel loro Manifesto, già a metà Ottocento andavano oltre e consideravano non liquidi ma “volatilizzati” i rapporti sociali un tempo consolidati, con le loro tradizioni e le loro ferree norme: “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, col loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di stabile”.
Che la liquidità attenga all’umano, sia principio di vita e sua essenza, lo dice peraltro la nostra stessa composizione biologica: l’uomo è fatto in prevalenza di acqua, in una proporzione quasi analoga al nostro pianeta, costituito per sette decimi d’acqua. E questa corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo insegna molto più della teoria liquida di Bauman. Su questo tema ha scritto pagine penetranti Gaston Bachelard; in questi giorni è da segnalare il pamphlet di Massimo Donà “Dell’acqua” (La nave di Teseo).
Ma l’uso della liquidità come alibi onnicomprensivo per giustificare ogni infedeltà, ogni mutazione, ogni sconfinamento, non rende ragione dei percorsi molto più complessi del nostro tempo. Che non possono ridursi all’avvento dello stato liquido. Si possono dunque porre almeno tre ordini di obiezioni al dogma della liquidità.
La prima è che se si resta dentro uno schema chimico o puramente lineare, dopo lo stato solido e lo stato liquido c’è lo stato gassoso ed è dunque tempo di dichiarare superata la modernità liquida per parlare dell’avvento di una condizione aeriforme, più confacente del resto al predominio dell’etere e alle impalpabili onde elettromagnetiche.
La seconda obiezione è che la liquidità non coincide con l’oblio assoluto e la negazione di tutte le forme, perché esiste, come ci spiega la biologia molecolare, anche la memoria dell’acqua, che mantiene l’impronta delle sostanze con cui è venuta in contatto. C’è il Lete, l’acqua dell’oblio ma c’è anche l’acqua della memoria, il fiume che gli antichi chiamavano Eunoè e che scorre vicino al Lete. C’è la risacca dei ritorni, l’acqua che riporta figure, luoghi, tempi perduti. C’è pure qualcosa di negativo che resiste alla liquidità: ad esempio la plastica nei nostri mari, non biodegradabile né solubile nelle acque.
La terza obiezione è che nonostante lo stato fluttuante, liquido e gassoso delle nostre relazioni, c’è qualcosa di solido che resta e si chiama Natura. C’è qualcosa che resiste alla liquidità o riemerge come una terra sommersa: questo è pure il tempo delle identità riscoperte, delle patrie, delle nazioni ritrovate, delle sovranità, dei territori, dei confini. Identità solide, coriacee.
Oltre la natura c’è un’energia, c’è un vento che spira e che gli antichi chiamavano spirito, c’è un’anima che è soffio vitale. E noi siamo fatti d’acqua, di carne, di ossa; e di mente, di spirito, di memoria. Molto di noi finisce, molto di noi si trasforma, qualcosa di noi persiste. Sotto le acque di Bauman riemergono i fondali di Heidegger. Infine, una società liquida ha bisogno di contenitori che ne evitino lo spargimento e la dispersione. Più una società o una vita è liquida e più ha bisogno di recipienti e canali, cioè di senso del limite. E se la società liquida fosse un buco nell’acqua?
MV, Panorama n.19 2019