Eugenio Giani, un uomo che porta dentro se stesso una tensione di contrasti permanente. Lui è l’esponente più di spicco di un piccolo mondo antico che sta andando alla deriva. E i cui protagonisti, per assoluta miopia, lo vogliono continuare a spacciare come l’eldorado dei nostri tempi.
La Toscana ricca che vive di rendita. Che si è potuta permettere, con una scellerata decisione degli amministratori immutati per decenni, di far scappare via artigiani e produttori dell’area centrale. Una Toscana allo stremo. Eppure che è sempre la culla di bellezze e meraviglie uniche in tutto il mondo.
È proprio questo è Eugenio Giani: il crogiolarsi, il dormire sulla gloria dei padri senza trovare la lungimiranza ed il coraggio amministrativo di costruire qualcosa per i figli. Un uomo piacevolissimo capace di parlarti per ore di storia della Toscana, del significato dei colori della sua bandiera.
Ma un uomo altrettanto indefinito quale amministratore, totalmente inefficace ed incapace di decidere. Aldilà della scarsa memoria nel nostro paese certo non ci si può dimenticare che la Toscana, nel pieno dell’emergenza, era sempre agli ultimi posti per la gestione. Uno spettacolo indegno che da attribuire alla totale nullaggine dell’azione amministrativa.
Giani vuol star bene a tutti
È un socialite capace di tenere banco a tavola per un’intera serata. Ma talmente sedentario dal poter tranquillamente pronosticare che sarà ricordato come un Pit Stop per l’intera regione.
Lo conobbi anni fa alle Giubbe Rosse (ormai serrate) dove ad ogni mostra di pittura era sempre presente, sempre simpatico, stimato e con una grande vocazione interiore: quella di star bene a tutti.
Tanto è vero che bonariamente si ironizzava nella storica contrapposizione tra Lions e Rotary dicendo che non si è mai capito se fosse l’uno o l’altro. Tanto onnipresente sia alle feste degli uni che degli altri.
Gli italiani riescono ad immolarsi per poche cose, ma sicuramente il calcio è la fede che si può tradire di meno nel bel paese.
Ma anche lì Eugenio Giani si dimostra una creatura politica dai contorni ambigui. Memorabile la sua frase in occasione dello storico derby tra Firenze ed Empoli:
“Spero che sia un bel derby, spero in una bella cornice di pubblico. Io sono di fede viola, ma sono nato a Empoli e quindi quella azzurra è più di una seconda squadra”. Stile tifo Viola ma col cuore ad Empoli.
Un uomo coltissimo che durante il famoso dibattito tenutosi a La Nazione con Susanna Ceccardi tirò fuori conoscenze storiche che avrebbero suscitato l’ammirazione di Franco Cardini. Ma alla di lei domanda su cosa avesse fatto concretamente il centrosinistra in trent’anni per l’aeroporto di Firenze, dopo lunga pausa rispose testualmente: “Abbiamo asfaltato la pista”.
Gli interpreti del suo animo misterioso cercano ancora di capire se questa asserzione, degna di una quartina di Nostradamus, sia da tradurre in realtà come una posizione contraria allo sviluppo della pista o ad un auspicio creativo di farla in terra battuta come nei paesi del terzo mondo. Magari al fine di mostrare una Firenze solidale già come biglietto da visita.
Attualmente sta facendo una cosa che non gli si addice
Forse come un anziano attore la cui mente ormai sente solo gli applausi e si rifiuta di enucleare le recensioni negative e di sentire i fischi, si sta proiettando oltre se stesso.
Infatti sul Green Pass sta diventando più realista del re. Sulla compressione dei diritti di movimento e di godimento della vita dei cittadini, sembra essersi attribuito molta più autorità di quella che la costituzione e le leggi assegnano ad un presidente di regione.
A fine agosto aveva affermato che senza Green Pass si resta a casa. Oggi dice che sul Green Pass dove non arriverà il governo con l’estensione nei luoghi pubblici ci penserà la regione che lui amministra tramite un’ordinanza.
Sembra quasi che l’uomo che ha sempre voluto stare bene a tutti oggi, magari per riscattarsi dalle accuse di indecisionismo cronico e poca personalità voglia diventare più realista del re. Più giacobino di Saint-Just.
Chissà perché mi suona alla mente un triste paragone storico di qualcuno che veniva accusato di essere un Cola di Rienzo si crede Giulio Cesare.
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