FARE L’EUROPA ANCORA GRANDE

FARE L’EUROPA ANCORA GRANDE

È bastato un post su X di Elon Musk per gettare nel panico le Cancellerie d’Europa. Ormai il magnate statunitense ci ha preso gusto a provocare reazioni, il più delle volte scomposte.

“Make Europe Great Again. Popoli europei unitevi” ha scritto qualche giorno fa sul proprio social il miliardario sudafrncano e in poco tempo il post ha totalizzato 75 milioni di visualizzazioni, 540.000 like e quasi 75.000 ricondivisioni

Ma cosa è il MEGA? Si tratta di una provocazione mediatica o dietro questa sigla si nasconde un progetto politico in grande stile?

Indubbiamente, Elon Musk ha reiteratamente manifestato il proprio interesse per la politica europea, che qualcuno ha definito indebite ingerenze. I giudici italiani che “se ne devono andare”, l’AFD “unica speranza per la Germania”, il premier inglese definito “vomitevole” per l’asserita copertura degli stupri perpetrati asseritamente dai pachistani e via dicendo; gli interventi di Musk sui fatti europei sono ormai all’ordine del giorno ed è dunque facile immaginare un interesse per il Vecchio Continente che non si limita esclusivamente alle mete turistiche.

Ma siamo sicuri che si tratti di una vera OPA? O, come dicono i detrattori, addirittura un tentativo di rinforzare una presunta internazionale nera, dopo l’era sovranista di Bannon?

MEGA si propone teoricamente l’esportazione del trumpismo in Europa, rideclinandone i principi fondativi sui quali Donald Trump ha vinto sia le elezioni presidenziali del 2016 sia quelle del 2024.

I punti fondamentali di questo manifesto politico-ideologico si richiamano al conservatorismo classico declinato in una forma piuttosto aggressiva e reattiva rispetto all’ideologia progressista che da anni ormai sta invadendo lo spazio pubblico andando a colonizzare ogni singolo ambito dall’istruzione, alla comunicazione, al linguaggio, al cinema e quant’altro, imponendo una dittatura totalitaria del pensiero. Un movimento – il MAGA – dunque reattivo che si fonda sull’unione del substrato conservatore fondato sul primato della Nazione da proteggere in tutti gli ambiti, anche quello economico, su una forte spinta religiosa e spirituale che ne codifichi una morale pubblica e privata opposta ai presunti valori progressisti e a una società che sappia interpretare quella rabbia sociale che oggi proviene a vari livelli dai ceti cosiddetti esclusi.

Un magma interessante che punta a mettere in discussione il progetto di ingegneria sociale su cui da anni si basa il progressismo delle sinistre mondiali andando a destrutturarne i presupposti uno per uno

In ambito economico, se le sinistre mondiali hanno sposato in modo del tutto acritico le magnifiche sorti progressive derivanti dalla globalizzazione omettendo però di gestire le terribili conseguenze in tema economico e sociale, il MAGA, e quindi il MEGA, insiste su misure atte a proteggere i confini nazionali dalle migrazioni selvagge, la produzione e la domanda interna di beni, servizi ed energia.

Come ben si rende evidente da queste prime settimane di amministrazione Trump, v’è l’intenzione di abbattere le radici dell’economia progressista proprio a partire dal Green Deal attorno al quale da tempo invece ruota tutto il mondo della transizione energetica. Con il pretesto del cambiamento climatico, negli ultimi anni, stiamo assistendo alla distruzione di interi comparti produttivi sostanzialmente dall’oggi al domani, secondo le coordinate bene espresse in tempi non sospetti da Schwabe ex ministro dell’economia tedesco. Ciò che tuttavia non poteva essere previsto è che tale disegno egemonico, potesse entrare in crisi perché di esecuzione troppo veloce e del tutto indifferente alle conseguenze, ma soprattutto ideologico e sbagliato.

Un esempio per tutti, il settore dell’automotive in cui le crisi aziendali dovute alle difficoltà di adattamento della produzione e a un mercato tutt’altro che di facile penetrazione (non foss’altro che per il prezzo finale), evidenziano le contraddizioni della sinistra mondiale che per difendere l’ambiente ha rinunciato a difendere i lavoratori (sempre più spesso o licenziati magari per sms, o messi in cassa integrazione).
E proprio con l’intenzione di difendere la produzione e la domanda interna, altro punto saldo del MAGA è l’introduzione dei dazi sulle importazioni

Una misura certamente che stride con la tradizionale adesione al libero mercato tipica del mondo americano (e in genere anglosassione) ma che si è resa necessaria per difendere lavoratori e aziende americane. Dazi che peraltro oltre ad assurgere a una funzione marcatamente protezionistica sono utilizzati con estrema efficacia come leve negoziali per gestire anche problematiche diverse. Contemporaneamente – e qui si torna sul piano prettamente liberale – l’abbassamento della tassazione per le imprese nazionali dovrebbe consentire una spinta e un rilancio  del settore produttivo e in generale dell’economia.

Altro tema, a ben vedere, connesso con economia e ambiente è quello dell’immigrazione incontrollata. Dopo anni in cui ci siamo sentiti dire che l’immigrazione è un processo inevitabile dovuto all’eccessiva disparità economica nel mondo e a riscaldamento globale che rende invivibili certe aree del globo, piano piano ci si sta rendendo conto che proprio inevitabile non è e che comunque un simile processo non regolato può portare alla rapida distruzione dell’Occidente per come lo conosciamo.

Forse non ci voleva Trump certo per capire, ma evidentemente il suo piglio decisionista ha contribuito ad accendere il focus su questioni non più rimandabili

In politica estera, apparentemente il MAGA si predispone a una maggiore concentrazione verso gli interessi americani rispetto al tradizionale ruolo di “gendarme del mondo” ereditato dalle amministrazioni precedenti, alcune delle quali repubblicane. Una politica estera dunque rivolta a tutelare gli USA abdicando al ruolo, invero mitizzato, di difensori dell’ordine democratico mondiale. Prova ne sia la battaglia che sta conducendo il tycoon americano affinchè i partners alleati alzino la contribuzione economica per la NATO.
Naturalmente stiamo parlando di una politica estera pienamente atlantista ma in grado di discutere e di imporsi anche con le moderne dittature su piani tutt’altro che scontati.

Dal punto di vista morale, si propone il ritorno ai valori della tradizione annullando con un colpo di spugna l’orripilante propaganda woke condotta a suon di slogan e diretta a costruire un nuovo ordine mondiale che, sotto il nobile intento dell’inclusività, mira a ridefinire i confini di una nuova antropologia che nega il passato, la tradizione per costruire a un futuro di uomini “tutti uguali”, secondo la miglior tradizione marxista

In USA, complice una situazione complessiva assai particolare, dove le tendenze progressiste si sono manifestate in modo asfissiante e  pericoloso, un modello di società tradizionale che si richiamasse a un diverso modo di vivere ha certamente sfondato (come dimostrano i voti raccolti da Donald Trump alle ultime elezioni). Ma domandarsi se in Europa quelle stesse ricette funzionerebbero è doveroso? Ciò in quanto le stesse tendenze progressiste sono ampiamente presenti nel Vecchio contintene ma si presentano almeno all’apparenza meno pericolose.

Non v’è dubbio che il progetto MEGA sia quanto di più antitetico vi possa essere rispetto all’attuale conformazione dell’Unione Europea e questo da sè basterebbe a confermarne la piena validità e ad auspicarne l’adozione anche in Europa. D’altra parte non stupisce che l’appello di Musk ai popoli europei, spaventi le elites di Bruxelles troppo abituate a considerare quei popoli solo come meri “esecutori” di decisioni prese altrove. Ma da qui a dire che il progetto MEGA potrebbe funzionare ne corre. Quando qualcuno parlava di “Europa dei popoli” veniva tacciato immediatamente di fascismo. Oggi, al contrario, scopriamo che proprio pretermettere il popolo è fascista, e che i nuovi fascisti sono proprio le elites finanziarie governate da interessi che trascendono le singole nazioni e i singoli cittadini.
Insomma ad oggi l’Europa non è una nazione, non condivide il medesimo orizzonte culturale di riferimento né lo stesso processo costituente.

L’Europa è, dunque, ancora una mera espressione geografica, o meglio una cointeressenza economica in cui persistono conflitti egemonici non più condotti in punta di baionetta, ma in punta di finanza

Al netto della propaganda europeista, condotta pensando che la gente si lasci abbindolare dalle belle parole, la realtà dei fatti è ben diversa.  Prevale la disunione e la competizione degli interessi nazionali, in cui sino ad ora ha sempre prevalso la linea franco-tedesca. Se il nazionalismo ancora molto vivo nel Vecchio Continente è sicuramente un alleato  del MAGA/MEGA sul piano della pars destruens (cioè dei nuovi paradigmi progressisti), lo stesso nazionalismo potrebbe tuttavia essere anche l’ostacolo maggiore sul piano della pars costruens (cioè l’edificazione di una visione di Europa coerente e ispirata dai presupposti del conservatorismo) perché la costruzione di una simile proposta comunque prevede la necessità di un’armonizzazione delle istanze dei rispettivi partiti che ne depotenzia inesorabilmente la specificità nazionale. Su questo dunque il MEGA dovrà riflettere e affinare le proprie strategie di penetrazione affinché l’eventuale costruzione di un nuovo progetto europeo possa effettivamente – e aggiungerei finalmente – prendere campo.

Da non sottovalutare anche l’opposizione proveniente dalle istituzioni comunitarie, che ben difficilmente potranno accettare un simile progetto che portato a conseguenze estreme comporterebbe la perdita di ampi privilegi delle elites, con buona pace dello spirito di Ventotene

Già Ursula Von der Leyen parla di scudi democratici intendendo probabilmente dei meccanismi di rappresaglia allorché nei paesi membri vincano le elezioni dei governi non in linea con Bruxelles. Certo, segno evidente della difficoltà dell’UE e di una concezione sui generis di democrazia, ma anche altrettanto evidente risposta all’azione trumpiana.

Comunque andrà sarà una bella sfida per chi crede ancora nell’Europa ma la vorrebbe molto molto diversa da come ora essa si presenta.

Iin gioco è la stessa sopravvivenza europea, che se continuerà a dipendere d istituzioni elitarie lontane dal popolo, rischia di scomparire in un Aventino della storia che non fa altro ceh testimoniarne lo spocchioso e snobistico fallimento

E stavolta, definire tutto ciò semplice populismo o sovranismo potrebbe non essere sufficiente.

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