La Verità, spiace dirlo in questa sede, non l’ha fondata Maurizio Belpietro tre anni fa ma Parmenide venticinque secoli fa. Prima di Cristo, prima di Socrate, prima di tutti. Sono andato nella redazione antica de La Verità a Elea, poi ribattezzata Velia e infine Ascea. Con Parmenide erano in redazione Zenone, Senofane e Melisso, per citare i più importanti; fu lui, Parmenide, “venerando e terribile”, come lo descrive Platone, a fondare la verità nella coincidenza originaria tra Essere e Pensare.
Sono qui ad Elea perché solo un pazzo come Vittorio Sgarbi poteva pensare di dedicare un Festival all’Essere, cioè il Festival dell’Eterno, il contrario dell’Effimero su cui si fondano tutti i festival (a partire da Nicolini). Mi ha chiesto di fare qui, alla presenza apparentemente assente di Parmenide e degli Eleati, una lectio sull’Essere e l’illusione del divenire. Da parmenideo avvertivo la sua presenza eterna, il suo sguardo venerando e il suo giudizio terribile, perché per lui – come è noto – il tempo e il divenire sono un’illusione. L’ultimo parmenideo ha aperto una succursale di Elea a Brescia, si chiama Emanuele Severino e ritiene di aver superato il maestro.
Ora tenetevi forte, perché comincia il viaggio nel mondo dell’Essere. Parmenide fondò la scienza dell’essere, l’ontologia, regina della metafisica.
Parmenide è il filosofo che nega il divenire, il mutamento nel tempo, e col suo allievo Zenone anche il movimento nello spazio, e disegna un mondo che è agli antipodi del nostro, fondato sul divenire, il cambiamento, la precarietà di tutto. “Tutto svanirà senza lasciare traccia” notava Shakespeare ne La Tempesta. L’Essere per i moderni, è un’illusione, muore, muta, finisce. Parmenide pensa esattamente il contrario. Illusione è il divenire, il cambiamento, e quel che apparentemente muore in realtà sparisce allo sguardo. Inavvertitamente siamo parmenidei quando preferiamo dire di un morto che è “scomparso”. Parmenide ci darebbe ragione: giusto, ha smesso di apparire, non è diventato nulla. Per lui la Verità sta all’opinione come l’eternità sta al tempo. Verità è persuasione.
Ma Parmenide serba un Mistero. Definisce l’Essere con una raffica di espressioni in negativo: è immortale, increato, immobile, cioè non mortale, non generato, non mobile. In positivo usa due espressioni opposte: è Eterno ed è Finito. Come è possibile, direte voi, se è eterno è infinito, cioè non ha fine nel tempo come nello spazio. E invece no. L’Eterno di Parmenide non è una retta che va all’infinito ma è una “ben rotonda”, perfetta sfera. Ma come, da dove spunta questa palla, versione calcistica dell’Essere? Non contraddice l’Eterno? Questa obiezione fece un suo allievo, Melisso, che Aristotele non considerava una “cima” e che poi si perse nell’infinito. Parmenide respinge l’Infinito, come il Nulla, il Buio, il Male. Horror vacui.
Il pensiero di Parmenide è agli antipodi del pensiero moderno, delle sue radici giudeo-cristiane e dei suoi frutti: l’individualismo, la storicità, il progresso, la libertà infinita, lo sviluppo illimitato, lo spazio infinito, la scienza e la tecnica che procedono all’infinito. Parmenide, da greco verace, ha orrore dell’infinito e giudica la passione per l’infinito come tracotanza (hybris), negazione della realtà e della perfezione, non-essere. Perfetto è ciò che è Eterno e finito, nel senso di compiuto, delimitato. La traduzione numerica dell’Essere è l’Uno. Parmenide non conosceva l’Abisso della matematica orientale, indiana e poi araba arrivata da noi “solo” otto secoli fa con Leonardo Fibonacci: la scoperta dello Zero che non è la negazione dei numeri ma il grembo che tutti li contiene. Oriente batte Occidente O a 1, per restare in ambito sportivo. Eppure il pensiero di Parmenide è un ponte tra Oriente e Occidente, la sua visione illusoria del divenire combacia con la metafisica indù, buddista, taoista.
Il mondo, si sa, ha preso la piega opposta. L’Essere è andato dileguandosi nel Pensiero, si è rifugiato con la Verità nella Religione, nell’idea di Dio. Ha rifatto capolino nel pensiero dell’Eterno Ritorno e nell’Amor fati, a ripartire da Nietzsche; ma per lui l’uomo è il senso della terra, ed è un passaggio, un tramonto. L’Essere è invece l’Intramontabile, l’Ente che non passa. Nel secolo che abbiamo alle spalle è riemerso in Essere e il tempo di Martin Heidegger o negandosi in Essere e il niente di Jean-Paul Sartre, o nell’opposizione tra Essere e Avere in Gabriel Marcel prima che in Eric Fromm. È riapparso nel pensiero tradizionale di René Guénon e Julius Evola che oppone la Civiltà dell’Essere al moderno Divenire.
Ha prevalso la tirannia del tempo, l’era liquida, l’evanescenza di tutto. Ma resta in noi inesausta la passione per l’Eterno. Mi spingo a dire che, nonostante le apparenze, il pensiero dell’Essere resta il sostrato elementare che ci permette di vivere, pensare e sperare. Però manca il coraggio, l’intelligenza, di portarlo alla luce e argomentarlo. Fuggiamo dall’infinito ma ci aggrappiamo all’eterno, e viviamo, amiamo, siamo, come se non finisse niente. E poi se la verità non esiste, l’essere non esiste, se tutto è illusione, perché non illudersi del contrario, cioè che la verità esiste e l’essere è eterno? Lo aveva capito Leopardi quando elogiò le illusioni. E chissà che illusioni poi non siano; intanto ribattezziamole miti. Il mito è al di là della verità e dell’illusione. Parmenide, con la tua verità e il tuo Essere eterno, sei un mito.
MV, La Verità 1° ottobre 2019