Già si sentono i nostalgici della mascherina: ma no, non togliamola, ci ripara da ogni germe, ci ha fatto del bene, usiamola ancora. Ma l’idea di smascherarci, finalmente, è un piccolo grande passo avanti nella liberazione dell’umanità. Magari potrà accadere che dovremo ripristinarla, intanto usciamo dalla società senza volto, l’era globale della mascherina. C’è una contesa etica, epica ed estetica intorno al suo uso e al suo disuso che va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; investendo la politica, i simboli, ideologia facciale.
Lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, assunse subito toni che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Fino a dare l’idea che la mascherina fosse di sinistra e il viso scoperto di destra.
Coercizione all’uniformità
Nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine apparve qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli. Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzschiano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità.
Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che ha unito i devoti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Più che una semplice profilassi, per molti la mascherina è stato un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia.
Mascherina livellatrice
La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano. Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma era deprimente, aveva qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario.
Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; e quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina?
Viviamo nel tempo mascherato
Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato e quella maschera non ce la toglieremo facilmente. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi.
La mascherina cancella poi la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Vero è che molti volti acquisivano bellezza e mistero con la mascherina, e quando se la toglievano erano deludenti…
Persona in origine significa maschera, ma poi si maschera il rapinatore, il killer o il carnevalesco. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose. La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici della dittatura cinese che mette tutti in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste.
Poi c’è la realtà. La mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un altro osceno baratto: la pelle in cambio della faccia. Ci siamo pure vaccinati, ora restituiteci i volti.
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