13 dicembre 1998: Fiorentina Juventus. 58′ minuto. Cross di Oliveira da sinistra dalla tre quarti, dalla fascia sinistra sotto la tribuna del Franchi, lì, verso la metà area di rigore. Una pennellata, la palla si ferma a mezz’aria, sopra il dischetto del rigore.
Irrompe sulla sfera, lanciato come El Camion, una furia feroce dai capelli lunghi.
È Gabriel Omar Batistuta: incorna e mette in rete sotto la Fiesole. In Maratona io urlo fino ad arrochirmi, fino a sentire girare la testa. Ci siamo. Quest’anno ci siamo.
Quel dicembre i Viola sono Campioni d’inverno: sembra finalmente l’anno buono.
L’anno della riscossa dopo lo scudetto ‘scippato‘ all’ultima giornata nel 1982. Di cui per pudore non voglio parlare. E nemmeno della partita di ieri.
Trapattoni stavolta era in panca a Firenze.
Tutto girava a mille
Poi quell’urlo. Proprio di nuovo sotto la Tribuna in quella stessa fascia. Io, al solito, in Maratona, pessimista come sempre, capii subito.
Un urlo che ci ghiaccio’ tutti. Riportandoci indietro al 22 novembre 1981, quando allo stadio di Firenze si sfiorò la tragedia. Il cuore di Antognoni, dopo uno scontro con il portiere del Genoa Martina, si fermò per trenta secondi.
Un’altra barella al Comunale, tanti anni dopo, stavolta meno tragica, ma sempre pesante come un macigno.
Quel 7 febbraio del 1999, la Fiorentina era in testa al campionato e quella domenica giocava al Franchi con il rivale Milan.
Gara inchiodata sullo 0–0 quando Batistuta, mentre scatta verso la porta sotto la tribuna, frana a terra con un urlo che sovrasta i cori delle Curve. Fa tutto da solo, nessuno lo tocca. E ci fa rabbrividire ancora, dopo più di vent’anni.
Lo stadio si gela. Quell’urlo ha cancellato un sogno. Lo sappiamo già. Già prima della diagnosi.
Un infortunio al campione argentino, in un nulla dissolve i sogni di scudetto.
Mentre l’argentino esce in barella guardiamo, sconcertati e speranzosi, l’altro brasiliano, oltre Oliveira, in maglia viola: Edmundo. Ci aggrappiamo a lui. Come ad una speranza. Colmerà lui il vuoto in attesa del ritorno di Batigol? No.
Quella stessa sera, mentre gli esami confermano l’infortunio di Bati, Edmundo O’ Animal è alla Malpensa, pronto a imbarcarsi su un volo per il Brasile.
Il carnevale di Rio e la sfortuna non ci restituiranno più una delle più belle Fiorentine di sempre.
Storie di infortuni e brasiliani malinconici, che si ripetono nella storia Viola.
Il secondo infortunio di Antognoni
Torniamo ancora indietro. Saltiamo negli anni avanti ed indietro, riavvolgendo il nastro.
Il 12 febbraio 1984, stesso copione.
In uno scontro di gioco, al limite dell’area di rigore, durante una partita contro la Sampdoria, tibia e perone di Giancarlo Antognoni vanno ko.
Quella Fiorentina bella e vincente, dopo quella del 1982 – di cui non vogliamo parlare per pudore –, fu frenata, dopo diciannove giornate, dal secondo grave infortunio in carriera di Antognoni. Stavolta non si fermò il cuore come due anni prima, ma cedettero le ossa della gamba.
Immenso ‘Antonio‘, che alla sfortuna aveva dovuto pagare dazio anche nei Mondiali di Spagna.
Poche settimane prima aveva segnato di testa, in tuffo, un gran gol alla Juve su cross del suo amico Pasquale Iachini.
Come Batistuta avrebbe fatto più di quindici anni dopo. Tutto inutile, film già visto.
Un altro grande crossatore da sinistra, Pasquale Iachini, come Lulù Oliveira. Entrambi inventati in quella posizione, entrambi vincenti.
Come Bati. Come Antognoni. Campioni uniti nel talento e nella sfortuna.
Eravamo secondi dietro alla Juve nel 1984, ma senza Antognoni non fu più la stessa cosa. E lo scudetto sfumò. Ancora e ancora.
L’assenza del capitano viola si prolungò fino a tutto il campionato successivo.
Si sperava in un altro campione brasiliano. Atipico, come Edmundo, come solo i carioca sanno essere.
Voleva tornare in Brasile, Socrates. Giocatore di qualità indiscusse, genio e sregolatezza. Laureato in medicina, comunista militante, insofferente ad ogni disciplina ed allenamento. Non funzionò.
Le diatribe fra Passarella e Pecci fecero il resto.
Nulla da fare. Edmundo, Socrates, Julinho: rigidamente in ordine inverso, sia cronologico che di funambolismo. Legati da un destino che li allontanava da Firenze.
L’incomparabile Julinho, lo scudetto riuscì a vincerlo a Firenze, ma poi dovette cedere alla nostalgia e andò via.
Storia di verde-oro affetti da suadade.
Immagini di infortuni terribili e tricolori mancati. Storie di Firenze Viola. Storie che si ripetono, ma chi vive all’ombra del David c’è abituato. Oggi come ieri.
Perché vincere, come ieri, come nel 1982 – di cui per pudore non voglio parlare – è facile.
Ma noi siamo la Fiorentina: siamo un’altra cosa.
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