La breve ed energica arringa conclusiva del pubblico accusatore Andrea Fortunato terminò con le parole: “Così ho gettato le vostre teste alla storia d’Italia”. E poi nella confusione del momento alcuni giornali dissero che concluse dicendo “fosse anche la mia purché l’Italia viva”. Mentre altri quotidiani scrissero “forse anche la mia purché l’Italia viva”.
“Fosse anche la mia” sembra una versione più coerente con il clima di eccitazione e di intransigenza del momento. “Forse anche la mia” può sembrare un macabro presagio sul futuro (di lì a poco tempo molti fascisti, tra cui alcuni giudici del processo di Verona sarebbero stati giustiziati e giudicati dai tribunali antifascisti).
Le arringhe difensive erano state di qualità scadente. Totalmente inefficace quella dell’avvocato di De Bono, che si limitava ad elencare i meriti militari del Maresciallo d’Italia. Con tanta enfasi da sembrare una pessima agiografia.
Totalmente inconsistenti anche le difese di Gottardi e Pareschi, i cui avvocati si limitarono ad elencare i meriti acquisiti durante il regime dei loro assistiti.
L’avvocato di Galeazzo Ciano era un certo Tommasini. Nessun avvocato volle prendere la difesa di Galeazzo Ciano, ed il tribunale gli assegnò frettolosamente un legale d’ufficio che non riuscì neanche a leggere il fascicolo.
Un uomo incapace di suscitare qualsiasi emozione, che portò avanti un discorso noioso e non incisivo. Tra le altre cose la sua arringa sfiorò il patetico quando in conclusione richiamò i meriti militari di Ciano, e in pompa magna quelli di suo padre. Pregando i giudici di restituirlo all’Italia, alla stregua di un grande eroe come oggettivamente Il padre era stato (probabilmente questo finì di indispettire i giudici) ed all’affetto della sua famiglia.
Avvenne qualcosa di estremamente insolito
Il presidente Vecchini si rivolse agli avvocati della difesa parlando nell’interesse degli imputati. Ricordando loro di trattare soprattutto la causa dal punto di vista della mancanza dell’elemento soggettivo ossia il dolo.
Praticamente Vecchini suggeriva agli avvocati di giocare la carta della mancanza di volontà. Non volevano sostanzialmente fare quello che avevano fatto e di cui li si accusava. Anche i più pessimisti degli imputati furono scossi da questa dichiarazione.
Cosa stava facendo il presidente del tribunale? Stava suggerendo la strategia difensiva vincente? Stava giustificando, probabilmente agli intransigenti presenti in aula e fuori, le motivazioni di una sentenza in un certo senso clemente?
In fondo per Mussolini quello era un momento tragico dal punto di vista degli affetti familiari. Forse solo per un momento tutti gli imputati sperarono che l’intervento del potente suocero potesse mitigare la sentenza. Anzi, che magari le parole di Vecchini fossero un chiaro indicatore del fatto che l’intervento di Mussolini in favore del genero e quindi di tutti gli altri imputati c’era già stato. Per un attimo ci fu ottimismo verso la possibilità che venissero irrigate pene detentive, al posto della pena capitale.
Magari anche il memoriale di Cavallero era stato eletto per dimostrare che il tradimento era andato ben oltre gli imputati, ed i veri colpevoli non erano lì.
Ci fu comunque un’altra arringa di scarsa qualità in favore di Marinelli e poi il giorno successivo una nettamente migliore dell’avvocato di Cianetti.
Il tribunale entrava in camera di consiglio, gli imputati avevano qualche speranza