A distanza di un anno l’Ateneo fiorentino è di nuovo nella tempesta. Si ripete anche stavolta il consueto copione italiota: titoloni sui giornali, frammenti di intercettazioni telefoniche sbandierate come armi contundenti, magistrati che si ergono a depositari del bene e della morale. Protagonista della vicenda stavolta è Oreste Gallo, otorino, professore associato e primario di reparto, il quale, presentando un esposto in Procura, ha dato la stura a un’indagine per abuso d’ufficio che vede coinvolti i pezzi da novanta di Careggi. L’accusa è quella di aver pilotato i concorsi universitari.
Anche in questa vicenda assistiamo alla solita giostra di fraintendimenti, di incompetenza, di ipocrisia e di malafede. Com’è noto, gli Atenei, godono di un’autonomia riconosciuta dalla stessa carta costituzionale, che la legge Gelmini non ha mancato di ribadire. L’Ateneo fiorentino si è dato dei criteri per le chiamate di professori ordinari e associati e ricercatori.
L’organo che ha il compito di procedere alla programmazione delle chiamate, la cosiddetta CIA (Commissione di Indirizzo e Autovalutazione), pur dovendo tener conto di tali criteri, è tuttavia libera di discostarsene, proprio in virtù dell’appena menzionato principio di autonomia.
Ancora più insensata è l’accusa di abuso d’ufficio nella vicenda del concorso per associato a neurochirurgia, che vede coinvolto il professor Alessandro Della Puppa, indagato insieme ai membri della commissione i quali, a sentire i magistrati, sarebbero colpevoli di aver individuato il vincitore prima che venisse espletato il concorso.
E’ normale che si scelga di bandire un concorso quando si sa di avere una persona valida per ricoprirlo, nell’interesse dell’Ateneo, della ricerca, nonché, nel caso di Medicina, anche nell’interesse dei pazienti. O bisogna forse ritenere deplorevole il fatto che prima di chiamare qualcuno a coprire un posto nevralgico in un settore cruciale (neurochirurgia), la comunità accademica si muova per individuare ex ante i possibili papabili?
I concorsi universitari sono pilotati nella misura in cui il rapporto di lavoro in ambito accademico si presenta con tratti di innegabile peculiarità, il mondo accademico, da sempre, si basa sulla cooptazione, che in sé non ha nulla di perverso o di deplorevole. Vi è infatti anche una forma di cooptazione che può andare a braccetto col merito.
La legge Gelmini, riformando in profondità le modalità di selezione dei docenti, ha inteso muoversi per l’appunto in un’ottica meritocratica. Come al solito, da provinciali quali siamo, il modello di riferimento era quello statunitense. Volendo far proprio il sistema d’oltre oceano, sarebbe stato necessario, però, abolire l’università pubblica.
La natura pubblica dell’Università italiana, invece, è un bene al quale crediamo e che dobbiamo a tutti i costi preservare, non certo trasformandola in una creatura mitologica inguardabile, grazie ad innesti il cui rigetto è sicuro.