Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: non abbassiamo la guardia!

Avevamo tantissimi progetti assieme. Una vita davanti. Ed io ero pronta a cambiare completamente vita, a rinunciare a me stessa per lui, per noi.” Inizia così la storia di Maria, giovanissima, di ottima famiglia e con tutta la vita davanti per avere successo e sbagliare da sola. Una storia come tante, una gioventù fatta di dubbi, un carattere composto anche di fragilità e debolezze, come quello di tutti noi. All’improvviso l’illusione di una certezza che non aveva la maturità per conseguire da sola: un uomo che la fa sentire sicura, che sembra offrirle la leggerezza di non dover più dirimere le proprie incertezze. Un amore sul quale appoggiarsi. Ma un amore fasullo, una forma d’attaccamento morbosa che non accetta vacillamenti, dubbi. Un amore che non tollera la parola “libertà”.

Ci siamo conosciuti all’università” prosegue Maria, che mi racconta la sua esperienza perchè con l’aiuto della famiglia è riuscita ad uscirne. Maria è stata fortunata: ‘c’è voluto solo un anno’ perchè riprendesse in mano la sua vita. “Ho avuto due genitori straordinari ed una infanzia fortunata rispetto a quella di molti miei coetanei. Avevo le mie abitudini ed il mio gruppo di amici ma mi sembrava di attraversare un periodo difficile: ero confusa, non sapevo cosa volevo fare, se concludere gli studi oppure no. A distanza di anni posso dire che era semplicemente un periodo nel quale dovevo capire chi e che cosa volevo diventare.”. Un momento non distante da quello che attraversano tante ragazze della sua età. “Lui era più grande, non aveva un lavoro ma colmava il suo tempo con moltissimi progetti e sembrava offrirmi soluzioni su un piatto d’argento. Sembrava così sicuro, così certo di se stesso e di chi voleva diventare che io mi sono lasciata persuadere e piano piano ho affidato a lui tutta la mia esistenza”. Nessuna di noi è immune dal rischio.

Quando sono riuscita a rompere mi sono laureata col massimo dei voti, oggi lavoro nell’impresa di famiglia. Mi è sembrato di tornare a respirare dopo una apnea durata 4 anni in cui avevo completamente congelato tutti i miei progetti, la mia vita. Però a fatica ho riconquistato gli amici dai quali io stessa mi ero allontanata, perchè si, si dice che sono ‘loro’ a farci allontanare ma tutto questo non accadrebbe mai se non fossi stata io a farlo“. Quello di Maria è un senso di colpa che difficilmente svanisce: la sensazione di essere state in qualche modo responsabili. Ci si allontana dagli affetti (famiglia, amici, colleghi) su pressioni della persona che si ha accanto ma siamo noi a farlo mentre chi dovrebbe starci vicino il più delle volte non sa come reagire e finisce per accettare l’allontanamento, senza farsi troppe domande, senza pensare quasi mai al peggio. É ciò su cui fanno leva le personalità più inclini a praticare violenza: soggetti deboli, insicuri, che alimentano il proprio senso di sicurezza controllando l’altro, arrivando a modificare abitudini, esistenze altrui e ad annullare passioni, desideri, stili di vita con lo scopo, coercitivo, di farci dipendere completamente dall’altro.

Lui mi faceva credere che solo assieme tutto era possibile, che da sola non valevo niente, che non ero capace di combinare nulla ed ogni volta che provavo ad oppormi cercava di ‘schiacciare’ il mio essere. Non so spiegare come facesse, non mi ha mai picchiata ma giorno dopo giorno era come se entrasse nella mia testa facendomi sentire malissimo ogni volta che provavo a dimostrare la mia autonomia“. Eccola la chiave di volta: far leva sulla debolezza altrui, far sentire l’altra persona ‘sbagliata’, ‘incapace’, ‘buona a nulla’. Non per forza la violenza assume forme fisiche o almeno, non subito. C’è un pervicace lavoro di violenza psicologica dietro, di recisione di legami con tutti coloro che potrebbero aiutare, denunciare, far luce sul problema. Una volta realizzato l’isolamento, l’annichilimento della “vittima” alcuni passano poi alla minaccia, alle azioni violente vere e proprie. Solo in alcuni casi si sfocia nell’omicidio ma non per questo bisogna abbassare la guardia, che va tenuta altissima soprattutto sui primi segnali che annunciano la persona violenta: l’allontanamento dagli affetti, la privazione di libertà, l’annichilimento per rispetto ai propri desideri, passioni, affetti. 

I dati della violenza sulle donne in Italia

Quando si passa a parlare di dati le cose si complicano. Secondo Eures nei primi 10 mesi dell’anno le donne uccise in Italia sono state 106: una ogni 72 ore. Dal 1 gennaio al 31 ottobre 2018 i femminicidi sono saliti al 37,6% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese (erano il 34,8% l’anno prima), con un 79,2% di femminicidi familiari (l’80,7% nei primi dieci mesi del 2017) ed un 70,2% di femminicidi di coppia (il 65,2% nel gennaio-ottobre 2017). Sempre secondo Eures oltre un terzo delle vittime di femminicidi di coppia ha subito nel passato ripetuti maltrattamenti. L’omicidio rappresenterebbe dunque l’atto estremo di ripetute violenze fisiche e psicologiche: il 34,7% dei casi noti nel 2015, il 36,9% nel 2016 ed il 38,9% nel 2017. Un dato su cui riflettere: nella maggioranza dei casi (il 57,1% nel 2017) tali violenze erano note a terze persone e nel 42,9% dei casi la vittima aveva presentato regolare denuncia

Gli ultimi dati Istat fanno inoltre sapere che le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono state oltre 49 mila e di queste oltre 29 mila hanno cominciato un percorso di uscita dalla violenza. I dati legati alle molestie e alle violenze sono però ancora più allarmanti: l’Istat afferma che sono 6 milioni e 788 mila le donne che nel corso della propria vita hanno subito una qualsiasi forma di violenza sessuale o fisica.

Ma i dati risultano controversi e la Casa delle Donne di Bologna esprime tutte le proprie perplessità in una intervista a Il Fatto Quotidiano sui dati contenuti nel rapporto “Questo non è amore” divulgato dalla Polizia di Stato, in cui il numero dei femminicidi relativi al 2018 risulta di sole 32 donne morte a fronte dei molto più numerosi casi presi in esame dal centro bolognese. Dati da prendere con le molle visto che nel nostro Paese non esiste ancora un Osservatorio nazionale sulla violenza sulle donne? Forse si. Sicuramente un fenomeno sul quale tenere alta la guardia, visto che alla violenza effettiva fanno da anticamera una serie di violenze psicologiche e di comportamenti da prendere in considerazione: l’isolamento, la radicale piuttosto che graduale modifica delle proprie abitudini in seguito all’inizio di una relazione e molti altri.

La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre di ogni anno in tutto il mondo si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999 nel giorno del sacrificio delle tre sorelle Mirabal, brutalmente uccise dai servizi segreti dominicani nel 1960 per le loro attività contro la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo. L’intento quello di sensibilizzare, confrontarsi, porre sotto i riflettori il problema ma anche – soprattutto! – dare supporto e forza alle vittime o a tutte coloro che non si rendono ancora conto di essere tali.

Tantissime le attività calendarizzate da Comuni, Enti, Associazioni, Organizzazioni non governative e Centri anti-violenza delle quali si può venire a conoscenza consultando i portali delle Istituzioni e delle associazioni diffuse su tutto il territorio nazionale.

Nei giorni scorsi la vicepresidente della Camera dei Deputati Mara Carfagna ha inoltre lanciato la campagna nazionale “Non è normale che sia normale” alla quale hanno già aderito esponenti di tutti gli schieramenti politici, personaggi del mondo dello spettacolo, del cinema e dello sport, invitando tutti a postare sui social networks una foto o un video con il segno del rossetto sotto l’occhio e l’hashtag #nonènormalechesianormale

Anche AdHoc News aderisce alla campagna “Non è normale che sia normale” per dire NO alla violenza sulle donne.

https://youtu.be/x40l4UKKNbM

 

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