“Giovanni Huss il veridico”: un’opera dal retaggio identitario

Giovanni Huss il veridico”, pubblicata nel maggio 1913, è una delle opere giovanili meno note di Benito Mussolini. Nel 1918, Mussolini ne rilanciò alcuni estratti su Il Popolo d’Italia. Subito dopo la stipula dei Patti lateranensi, l’opera cadde completamente nell’oblio e nel silenzio generale. L’introduzione del libro, a cura di Renzo De Felice, evidenzia come il duce iniziò a redigere l’opera nel 1911, ovverosia poco prima del suo arresto per le agitazioni contro la guerra di Libia. Lo scritto, infatti, fu completato definitivamente nel 1912 dopo che Mussolini tornò in libertà.

L’interesse verso Huss crebbe durante il soggiorno in Svizzera nel 1902-1904. Fu proprio qui che Mussolini conobbe sovversivi e rifugiati politici di tutta Europa tra i quali i mitteleuropei, gli slavi ed i boemi. Erano anni in cui il compagno Mussolini rappresentava uno dei personaggi di spicco dell’anticlericalismo romagnolo.

L’opera risulta pungente e diretta nello stile e nei contenuti metastorici. Lo scritto incarna i valori tipici della tradizione europea che vedono nella libertà l’elemento fondante dell’identità nazionale.

Giovanni Huss (1369-1415)

Ordinato prete nel 1399, era un eretico, riformista e teologo di origine boema. Avverso ad ogni forma di tirannia politica e morale, egli si proponeva di purificare la Chiesa dai numeorsi scandali che la riguardavano. All’epoca la simonia, ossia la compravendita delle cariche ecclesiastiche, rappresentava uno dei maggiori introiti della Curia romana. Mussolini, al riguardo, sottolineò all’interno dell’opera un passaggio fondamentale. «Il Salvatore ha interdetto ogni dominazione terrestre ai suoi apostoli, ma la sua divina parola è divenuta una derisione da quando l’imperatore Costantino ha dato un regno al Papa». E ancora: «Quel giorno fu udita una voce dall’alto che gridava: il veleno è stato versato nella Chiesa di Dio. Colla ricchezza tutta la Chiesa cristiana è stata avvelenata e corrotta».

Il futuro duce del fascismo rimproverava al clero cattolico di non aver appreso nulla da cinque secoli di attività riformatrice hussita. Attività che si concretava non solo presso la Cappella di Bethlem ma anche presso l’ambiente universitario il quale risentiva molto della predicazioni wicleffiana di cui Huss era un fervente ammiratore.

Huss, inoltre, predicava un autentico ritorno al Vangelo. Egli auspicava un confronto tra “dottrina primitiva” e le “applicazioni pratiche fatte dai papi”.
Lo stesso Mussolini, riferendosi all’autorità del sommo pontefice, ebbe a dire. «Questi non è il vicario di Dio, ma un re profano e dei re profani ha tutte le cupidigie. Egli non merita l’obbedienza dei fedeli dal momento che le sue azioni sono in acuto contrasto colla dottrina evangelica». Il Concilio di Costanza, convocato dalla Chiesa Cattolica tra il 1418 ed il 1419, sancì la fine della figura di Giovanni Huss con la sua condanna al rogo per eresia.

L’ispiratore ideale

Giovanni Huss ed il movimento erticale hussita segnarono la formazione politica e spirituale di Benito Mussolini. Seppur poco nota al grande pubblico, “Giovanni Huss il veridico” ebbe il merito di far avvicinare Mussolini alle idee patriottiche. Il duce vide in Huss non solo il mito della difesa della libertà contro ogni forma di tirannia, ma altresì il fondamento della propria matrice sociale e nazionale nel religioso.

Il messaggio

Le critiche di Huss erano mosse da esigenze sincere. Le critiche fine a se stesse, tuttavia, generano divisioni utili solo a renderci più deboli di fronte alla dittatura del pensiero unico. Benché molte realtà cattoliche abbiano di fatto liquefatto il messaggio evangelico, fortunatamente esistono ancora molte comunità che resistono e che quotidianamente si battono per affermare i valori cristiani nella società alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa. Essa, ancora oggi, rappresenta l’unica risposta contro la secolarizzazione e il relativismo imperante sia nella Chiesa che nel mondo politico e laico.

 

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