In Italia la tragicommedia del probabile governo Conte-bis in queste ore tocca il suo apice. Responsabile di questa ridicola ondata di suspence è il povero Giggino, che avrebbe ribadito ai suoi di non volersi fare umiliare, a cominciare dalle poltrone. Del resto, chi ha più “culi” che poltrone (difetto fisico diffusissimo nella penisola) non può far altro che vivere stretto nella morsa dell’inquietudine. “Datemi almeno una poltrona e mezzo!”, strilla Giggino. Ovvero, la Difesa e il vice-premierato.
Gli interlocutori, a quanto pare, nicchiano. A cominciare da Zingaretti, passato in pochi giorni da campione del grigiume, da scialbissimo segretario sempre in potenza, a supereroe della politica e nuovo Obersturmführer del Partito Democratico. Preso alla sprovvista dal colpo di cresta del Bomba, sempre pronto a ringalluzzirsi, Zingaretti non si è fatto stringere all’angolo. Sarà pure il fratello sfigato di Luca, ma ha dimostrato di essere fatto d’una pasta ben diversa rispetto a Letta, che pontifica da SciencePo, senza peraltro andarci quasi mai, e al povero Bersani, preso a calci, sberle e pugni durante il celebre confronto in streaming.
Quel che è successo è storia recente: Giuseppi, passato in poche ore da Ronzinante a Cide Hamete Benengeli, interviene al Senato bacchettando il Capitano, con un discorso carico di livore e presunzione; poscia si reca da Sergio, certissimo del fatto suo. La pressione a livello internazionale del resto è fortissima. Nessuno vuole che in Italia si tengano nuove elezioni: non lo vuole Ursula, non lo vuole la BCE, non lo vuole la Bundesbank, non lo vuole Angela tra mille tremori, non lo vogliono il Vaticano e Antonio Spadaro, non lo vuole Soros e neppure Greta. Trump stesso corre in soccorso di Cide Hamete Benengeli, del quale pare essersi innamorato visceralmente dopo che questi gli ha rivelato il nome del sarto napoletano dal quale si fa confezionare quegli splendidi abiti su misura. “Giuseppi deve vivere!”, “Lunga vita a Giuseppi” tuona il palazzinaro della Casa Bianca.
Matteo di Tiziano coglie la palla al balzo. Fiuta l’aria e comprende al volo (giacché il Bomba è rapido in tutto) che è giunto il momento dell’inciucio, mascherato beninteso da rispetto delle istituzioni e senso di responsabilità. “Folle andare a votare” dichiara Matteo di Tiziano. Risultato: chi sperava di volare sulle ali dello spread verso orizzonti infiniti è costretto a un brusco risveglio.
Si sveglia d’improvviso anche Zingaretti, quello meno di successo, scuotendosi di dosso il consueto scialbore. “Vabbè, che sarà mai!” Esclama il segretario: “coi 5S ci prendiamo a ceffoni da una vita, il Movimento ci ha sempre detestati, ci chiamano il Partito-apparato, il Partito-Conservazione, il Partito di Bibbiano; Di Battista nei suoi pellegrinaggi sudamericani ha persino offerto sacrifici a divinità pagane per ottenere la nostra evaporazione”. Non vale la pena rivangare il passato, riflette Nicola, sentendo avvicinarsi il terribile ticchettio del Bomba, pronto a riesplodere. È giunto il momento di fare pace.
Zingaretti si dimostra lesto e sanguinario come un mustelide. Schizza fuori dalle corde, disinnesca il Bomba, intavola trattative, messaggia, whatsappa, posta e twitta, finge rigore e freddezza, mentre corteggia e cucina tutti a puntino; finché in breve tempo elabora un bellissimo organigramma di governo, d’intesa con Grillo, con la desistenza di Giggino, nel silenzio assordante di Di Battista, troppo alto, probabilmente, per sedersi ai tavoli di una qualunque trattativa.
Lo schema proposto, per alcuni è inquietante, per altri è persino comico, poiché smaschera una volta per tutte la ben nota coazione a ripetere: quella di andare al governo senza passare per le forche caudine delle elezioni, ché tanto non serve, giacché siamo in una repubblica parlamentare; e pace per quelli che ancora credono che la costituzione materiale sia mutata significativamente a partire dagli anni Novanta! Per sovrappiù, tale coazione a ripetere si manifesta senza pudore: Zingaretti vuole Interno, Economia, Esteri, e forse anche un dicastero in Vaticano. Ma qualche dazio, al senso di responsabilità, bisognerà pure pagarlo, e, non vi è chi non lo sappia, i responsabili per eccellenza sono i piddini.
Il governo passerà, e avrà il volto voluto da Zingaretti e da Grillo col beneplacito di Ursula e di Soros. Le impuntature finali di Giggino assomigliano alle ultime scariche nervose che inducono movimenti meccanici in rettili già morti. A nessuno piace assistere alla fine probabile della propria carriera politica. Neppure la scena di un Movimento nato con la malcelata ambizione di rimpiazzare il PD e che invece finirà per essere fagocitato da Zingaretti & Company è particolarmente allettante.
La stampa, specie quella di destra, si è divertita a scrivere di Giuseppi che consegna il M5S al PD. Bella scoperta! Giuseppi-Cide Hamete Benengeli, prima di agganciare il M5S tramite i buoni uffici di Bonafede, aveva tentato di offrire i propri servigi al PD, fidando nel fascino e nella autorevolezza di Elena, la bella citta aretina. Entrambi, si noti bene, Alfonso e Maria Elena, ex studenti di giurisprudenza dell’Ateneo fiorentino. Col PD, a suo tempo, non era andata bene, anche perché, com’ è noto, Mr. 109 (il Bomba) non ama particolarmente i docenti fiorentini, specie quelli di legge. Col PD zingarettiano al contrario andrà benissimo. E Giuseppi non dovrà fare alcuna fatica. Gli basterà esser fedele al suo primo amore.
Vale la pena spendere due parole in conclusione a proposito dei Paesi seri, dei Paesi che non vivono simili tragicommedie. Prendiamone uno a caso: la Francia. Ebbene, in Francia, da giorni, star indiscussa dei giornali e delle televisioni e il coq Maurice, il gallo Maurizio, protagonista di una esilarante vicenda giudiziaria. Il gallo Maurizio, poverino, da buon gallo, era solito cantare ogni giorno di buon’ora. Stava lì da una vita, in compagnia di altre bestie, nella fattoria in cui era nato, nell’île d’Oléron. Finché una coppia di vicini, due pensionati trasferitisi in Aquitania per vivere in pace gli anni del proprio crepuscolo, hanno deciso di citare in giudizio il gallo Maurizio e la sua proprietaria. Si direbbe, a tutta prima, una banalissima causa civile per immissioni sonore. Macché! La questione si è trasformata in breve in una disputa nella quale si confrontano da sponde opposte e irriconciliabili i fautori della vecchia Francia rurale e i pasdaran della modernità. Forse, quando avremo la fortuna di veder saldamente insediato alla guida del Paese il governo dei responsabili, anche da noi i giornali avranno il loro gallo Maurizio di cui occuparsi, o magari troveranno un cane, un bracco (chiamiamolo “Sebastiano”), che ottunderà coi propri ululati il sistema nervoso di un avvocato milanese trasferitosi nella quiete dei Monti Sibillini. Non ci resta che attendere e sperare.