GLI AMORI CRIMINALI VANNO IN ONDA DAL 2007

GLI AMORI CRIMINALI VANNO IN ONDA DAL 2007

Ventisei edizioni, la prima è andata in onda nel 2007. Di cosa stiamo parlando? Di “Amore Criminale”, programma televisivo relegato in seconda serata fino a qualche tempo fa, cioè fino a quando non ci si è svegliati una mattina e ci si è resi conto dell’ecatombe in corso, in cui si raccontano storie di donne – e di uomini – uccisi da coloro che dicevano di amarle e amarli.

Fermiamoci un attimo

2007, sedici anni fa. Non due, tre decenni fa, ma l’altro ieri.

2023. Il 25 novembre il fronte femminista nostrano è sceso in piazza a manifestare la propria, giusta, indignazione dopo la morte della povera Giulia Cicchettin – cara Giulia, però non ti offendere, perché già che c’erano, ti hanno usata per buttarci dentro anche un po’ di protesta pro Gaza e No Tav.

Il 25 novembre, data simbolica in quanto si tiene la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è caduta a fagiolo. Peccato che dall’inizio del 2023 siano già morte 106 donne – il femminismo nostrano evidentemente va a diesel.

Eppur si muove, affermò Galileo, perché fare del disfattismo?

E no, non si muove proprio un bel niente. E se lo fa, si muove all’indietro.

2023. Il mancato riconoscimento, e in alcuni casi negazione, delle violenze e degli stupri perpetuati sulle donne israeliane il 7 ottobre, dimostra la punta di un ignominioso iceberg fatto di ipocrisia, una vera massa tumorale che attanaglia una fetta – non tutto per fortuna – del femminismo occidentale.

E all’appello mancano anche molte altre proteste. Vogliamo parlare di Armita Garawand? Scontato. Allora parliamo di Narges Mohammadi. “E chi è?” Ma come chi è, le è appena stato conferito il Nobel per la Pace, mentre è detenuta nella prigione iraniana di Evin.

Perché è stata arrestata?

È un’attivista che ha lanciato svariate proteste pubbliche, l’ultima per denunciare le centinaia di morti durante le violente manifestazioni del novembre del 2019 in Iran, in seguito all’annuncio dell’aumento del prezzo del carburante. E, ovviamente, non ha dimenticato di protestare contro la condizione delle donne iraniane.

Come mai non vediamo frotte di femministe denunciare queste prevaricazioni sulle loro sorelle iraniane? Perché non le vediamo scatenare la propria indignazione contro le morti per dote delle sorelle indiane, pakistane, bengalesi? E per le lapidazioni delle sorelle sudanesi? E per l’infibulazione o le spose bambine? Dov’è questa benedetta sorellanza?

Non una di meno. Qui ne abbiamo molte di meno.

Figuriamoci, dice qualcuno, con i problemi che abbiamo da queste parti, non è che si possa pensare a tutti, questo è solo becero benaltrismo. Perfetto, allora domandiamoci come mai moltissime femministe italiane, oltre all’indignarsi per i casi di femminicidio, non scendono in strada a “fare un gran casino” contro la disparità degli stipendi tra professionisti uomini e le omologhe donne. Oppure perché non si indignano per la discriminazione nelle assunzioni, se si prospetta un rischio – che parola orribile rischio – di gravidanza.

Macché. Però le abbiamo viste scendere in piazza a sostegno dell’organizzazione terroristica di Hamas. E inevitabilmente ci domandiamo se queste femministe ci siano o ci facciano.

Ormai sembra evidente che ci troviamo di fronte a un fatto: una parte, e ci tengo a ribadirlo, una fetta del femminismo nostrano ha perso di vista i propri pilastri portanti. È ormai un cadavere ambulante che trasuda effluvi maleodoranti di autoreferenzialità, demonizzazione del maschio e che si è ridotto persino a una ridicola lotta di genere a suon di desinenze femminili francamente improbabili.

Il tutto condito con una lampante disunione di prospettive e obiettivi, privo di qualsiasi reale forma di coesione di genere.

E il silenzio per le donne israeliane in questo senso è paradigmatico.

In questo modo si perde di vista cosa sta realmente accadendo: ogni forma di misoginia e ogni forma di patriarcalismo, ogni forma di prevaricazione e di diritto di possessione degli uomini sulle donne esistenti, non faranno altro che prendere forza. E se c’è stato un tempo in cui il femminismo ha veramente ottenuto dei traguardi e avuto donne eccezionali come rappresentanti, oggi come oggi ci fa veramente pena.

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