La moneta serve un popolo e una nazione o il popolo e la nazione sono asserviti alla moneta? È la domanda che ogni persona di buon senso, anche non pregiudizialmente ostile all’Euro dovrebbe porsi. Se non altro per ragioni di mera curiosità intellettuale. Qualsiasi persona di buon senso dovrebbe infatti augurarsi che la grande idea europeista partorita dai padri nobili del secondo dopoguerra (Schumann, De Gasperi, Adenauer), violentata in modi macabri e molteplici nel corso degli ultimi due decenni, vada in porto e si realizzi.
Parliamoci chiaro: cos’è l’Europa, politicamente, e soprattutto economicamente parlando, dinanzi alla Cina (ormai prossima alla Russia, che ha rivolto per necessità il suo sguardo a Est) e agli Stati Uniti? Una piccola espressione, neppure geografica, giacché l’Europa non è geografia. È cultura, è ricerca dell’episteme, è un’idea. Grandiosa e mortifera al contempo, come il XX secolo non manca di ricordarci.
Ma aquí estamos, questa è la realtà che ci è dato di vivere, questa è l’acqua nella quale siamo immersi. Sarebbe imperdonabile nuotare senza rendersi conto che lo si sta facendo nell’acqua. Necessariamente. Un’acqua che ci avvolge e ci condiziona. Dunque, torniamo al punto di partenza: c’è un futuro per l’Europa? Un osservatore onesto, non necessariamente prevenuto, faticherebbe a rispondere che sì, c’è un futuro.
I fatti delle ultime settimane e i commenti che li hanno seguiti non sono in effetti incoraggianti. I jilets jaunes hanno messo in subbuglio la Francia, scatenando la solita ridda di commenti a proposito della mobilitazione via web e della desuetudine dei soliti, frusti strumenti di rappresentanza (partiti, sindacati, etc.). Uno stupore che ormai desta ironia, noia, e nel peggiore dei casi sconforto. La cosa che però è passata inosservata, almeno in Italia, è il tentativo di tematizzazione del disagio espresso talvolta con eccessiva veemenza dai manifestanti gialli, tematizzazione di cui si sono fatti carico gli intellos d’oltralpe, fedeli a una lunga e gloriosa tradizione, sconosciuta nel Paese in cui il massino dell’intello è Saviano.
Al centro del j’accuse dei commentatori francesi è ancora una volta, manco a dirlo, la moneta unica. Si è sottolineato come la principale causa di impoverimento delle classi medie francesi derivi direttamente dalle politiche messe in atto per tentare di salvare il progetto della moneta unica. Ovvero dalle politiche di bilancio basate sul rialzo delle imposte e sul taglio degli investimenti pubblici imposto dalla Commissione, al prezzo della svalutazione interna, ossia del calo dei redditi, associato allo strangolamento della domanda interna. Tali misure hanno provocato un collasso drammatico della produzione nei paesi dell’Europa del Sud, Francia inclusa, e un tasso di disoccupazione che resta elevatissimo, nonostante l’esodo massiccio delle forze vive e dei giovani di questi paesi. Allo stesso tempo, si è osservato come la crescita economica dell’Eurozona sia la più debole al mondo. Con il risultato che le divergenze tra i paesi membri si sono largamente accentuate, in presenza di una moneta unica che, lungi dal favorire la nascita di un mercato unico dei capitali, ha prodotto una crescita dell’indebitamento pubblico e privato nella maggior parte delle nazioni. Questa l’analisi impietosa.
Ciò che lascia attoniti non è il fatto che l’ennesimo movimento di protesta acefalo, nato spontaneamente grazie al potere del web, riceva l’endorsement e la considerazione di molti intellettuali d’oltralpe; a lasciare senza parole sono semmai i commenti della stampa tedesca dinanzi alle evidenti difficoltà di Macron, ritrovatosi al centro di una tempesta che non è visibilmente in grado di comprendere e governare. La reazione dei principali organi di stampa tedeschi (Welt, Bild, Faz) al tragico discorso di Macron è stata infatti unanime e sconfortante: per placare le proteste Macron decide di spargere denaro a capocchia, denaro che lo Stato francese non ha, col rischio di non rispettare la fatidica soglia del 3%. Insomma, il solito ragionamento da contabili o da amministratori di condominio. In realtà, dietro all’indignazione si scorge, neppure troppo velato, un certo sollievo. Messo alle strette, il Presidente francese è obbligato ad allentare i cordoni della borsa, presentando un volto inedito, che piace assai poco al di là del Reno. Ma che offre un insperato pretesto alla ben nota miopia politica teutonica per gettare definitivamente alle ortiche il progetto macroniano di dar vita a un bilancio comune europeo, unica strada possibile per trasformare l’Euro in una vera moneta. E tale progetto, com’è noto, rappresentava il cardine del disegno politico elaborato dal fondatore di En Marche nella prospettiva di un rilancio del processo di integrazione europea. Insomma, siamo al punto zero: la UE si avvia a grandi passi verso il disastro, a causa dell’insipienza, della paura, dell’egoismo dei principali esponenti delle classi dirigenti continentali, che paiono agire e parlare come creature in preda a una forma incoercibile di sonnambulismo.
E pensare che persino sulle colonne del Sole 24 Ore Sergio Fabbrini, notoriamente allergico alle avventure populiste nonché divulgatore instancabile della più stretta ortodossia eurocratica, ha scritto senza mezzi termini che questa UE non funziona più, a dispetto della sua sorprendente resilienza. Per la semplice ragione che l’Euro Summit, riunitosi pochi giorni fa, ha deciso in un colpo solo, da un lato, di rinviare il completamento dell’unione bancaria, dall’altro, di svuotare la proposta di budget dell’Eurozona, trasformandola in un capitolo minore del budget della UE. Con il risultato di rafforzare ulteriormente la logica intergovernativa (dal momento che il Fondo salva-Stati si basa su un trattato internazionale), confondendo ancora di più le responsabilità per le scelte che verranno prese. Insomma, tutto il contrario di ciò che sarebbe necessario e auspicabile: per governare il malessere sociale che divampa in Europa non basta più la mera convergenza tra le economie europee, servirebbe invece un governo dell’Eurozona al contempo libero dai vincoli intergovernativi ed espressione degli interessi dei governi nazionali che la compongono.
Nulla di tutto ciò pare alle viste. Eppure, piaccia o non piaccia, si tratta dell’unica strada che chi crede ancora nel progetto europeo dovrebbe percorrere. Il baratro si avvicina. E gli Europei ci si stanno dirigendo a passo di marcia.