L’uno era quello del ‘vaffa’, l’anticasta; l’altro il “Rottamatore”, contro la vecchia politica. All’apparenza niente di più antitetico, ma già nella premessa si poteva intravedere il primo punto di contatto: il messaggio propagandistico di cui si sono fatti fintamente portatori era in copia carbone, niente di troppo costruttivo ne’ reciprocamente differente. Grillo e Renzi si ponevano, su sponde diverse, come la riedizione di Conan il distruttore.
Entrambi ora chiedono un nuovo governo, variando la formula da “istituzionale” a “di scopo”, con chiunque ci stia, pronti anzi a stringere la mano anche ai più acerrimi nemici, per salvare l’Italia naturalmente. Il sacrificio in nome del proprio paese è il più alto gesto con cui i politici rivendicano il proprio attaccamento alla nazione, purtroppo il più delle volte si tratta di un mero artifizio retorico e questa vicenda non rappresenta un’eccezione.
Possiamo dirci sorpresi della mossa di Renzi e Grillo, che si sono azzannati politicamente e personalmente per anni?
Da parte del primo niente di nuovo: l’ex leader dem ha già dimostrato di saper aggirare la parola data, in particolare non si può omettere la promessa mancata di sbarcare a Palazzo Chigi solo dopo un voto di legittimazione popolare, cosa che naturalmente non ricordiamo essere avvenuta nel momento di passaggio fra il ‘sereno’ Enrico Letta e lo ‘statista’ di Rignano. Quella fu una manovra di Palazzo ben oleata, fatta ovviamente per non far precipitare il paese nel caos in una “congiuntura così delicata”. La congiuntura nemmeno a dirlo era, ovviamente, la finanziaria. Indimenticabile poi il ritorno sulla scena politica, nonostante la promessa di interrompere la propria esperienza se avesse perso il referendum costituzionale, cosa che accadde in maniera rovinosa. Eppure dopo quella sconfitta e la successiva caduta del suo governo Renzi – passato appena qualche mese – si appellò a una non meglio precisata richiesta della gente di non abbandonare la scena e rientrare pienamente in campo. Cosa che puntualmente il nostro fece, chiaramente per il bene del paese. Dunque la tendenza a tattiche da inabissamento per poi riemergere più lindo che mai è da attore consumato, seppur un po’ troppo scoperto per essere definito davvero abile.
Il caso Grillo è invece davvero ai confini della realtà. Vederlo ergersi a responsabile nei confronti di un sistema politico disprezzato, a fautore di formule considerate superate, di alleanze con uomini e partiti – il Pd su tutti – considerati fino a pochi giorni fa il vertice di ogni corruzione, è più che una sorpresa, è uno shock che solo riflettendo sul suo profondo, immarcescibile e innato opportunismo possiamo temperare. Tutto sommato la sua creatura politica rappresenta l’intero spettro che va dall’essere al non-essere, con ogni sfumatura intermedia, per cui questa piroetta del Movimento Cinque Stelle non dovrebbe coglierci troppo alla sprovvista; eppure rimane l’inquietudine addosso, quel senso di presunta rivoluzione mandata in soffitta in nome dell’interesse superiore, che si concretizza nel demonizzare Salvini e salvare un numero di seggi parlamentari realisticamente irripetibile da qui all’eternità.
Al momento è impossibile prendere il tutto sul serio. O dovremmo davvero credere che è l’alta politica ad emergere in queste proposte e non l’evidente convenienza? Dobbiamo davvero pensare che Grillo non stia difendendo la voglia di restare al governo? Vogliamo davvero credere che sia un sacrificio per Matteo Renzi abbracciare i propri nemici per eccellenza, quel Movimento 5 Stelle con cui ha impedito al proprio partito perfino il dialogo a primavera 2018? Posizione di cui ha preteso la conferma ufficiale da parte del nuovo Segretario Zingaretti non più di venti giorni fa, quasi che quest’ultimo dovesse fare abiura come Galileo di fronte alla Santa Inquisizione?
Il quadro fornisce la prova di quanto forte, radicato e strutturato, sia, in Italia, il partito del non-voto. Ne abbiamo esempi piuttosto palesi, nella recente storia nazionale: le vicende che hanno portato alla formazione dei Governi Gentiloni nel 2016, Monti nel 2011, Amato nel 2000, Dini nel 1994, Ciampi nel 1993 si dimostrano – pur nelle singole specificità – uniformi ed omogenee nella genesi degli obiettivi di quegl’Esecutivi (fermare la deriva populista, l’antieuropeismo, il giacobinismo anti-politico, garantire equilibrio ai conti economici del paese, saldare il vagone italiano al treno CEE poi divenuto CE e infine UE), ma anche nel fallimento più o meno conclamato di quegl’obiettivi, un insuccesso che prima o poi si è plasticamente visualizzato. Tali mancati traguardi si sono poi saldati nel legittimare il sentimento anti-istituzionale, alimentando la descrizione di poteri costituiti chiusi in se stessi e nei propri interessi.
La sfida di oggi appare ancor più drammatica, rispetto alle occasioni accadute nell’ultimo quarto di secolo; viene dunque naturale chiedersi se davvero un governicchio di sconfitti e mal amalgamati sia la scelta più responsabile, nonché piu’ attrezzata, per affrontare le scelte geopolitiche di collocazione internazionale e sovranazionale del paese; se davvero una tale ‘armata Brancaleone’ sia quella più in grado di aiutare gli italiani a scegliere più consapevolmente. Sul serio l’Italia è più stabile se si tira avanti fino alla prossima elezione presidenziale del 2022?
Restituiamo la parola agli italiani, come si fa in ogni paese democratico, soprattutto in momenti di crisi. I cittadini sono il cuore della democrazia, non possono essere trattati come bambini da tutelare, in quanto ritenuti incapaci di fare le giuste scelte. In particolare da Beppe Grillo e da Matteo Renzi, cantastorie che troppo spesso hanno chiacchierato di democrazia non praticandone a sufficienza ne’ forme ne’ contenuti, sia all’interno delle rispettive forze politiche sia nel rapporto con il paese.
Hanno paura della vittoria di Salvini? Certo. Vincerà/Vincerebbe Salvini? Probabile, ma nessuno può affermarlo con certezza e comunque determinare la misura dell’eventuale vittoria leghista. Comunque, se anche fosse, gli sconfitti dovranno fare i conti con la propria sconfitta e, così facendo, forniranno un’immagine più credibile di se stessi.