Sicuramente gli americani non hanno mai avuto particolare predilezione per Enrico Mattei.
Storico presidente dell’Eni, definito da molti un nazionalpopolare. Un capitalista di Stato.
Un passato da partigiano, poi grande guida di un ente come l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), di creazione fascista.
Fortemente convinto che le sette sorelle, come allora venivano definite le maggiori compagnie petrolifere mondiali, fossero fautrici di una politica nemica dell’Italia e dei popoli mediterranei in generale.
Enrico Mattei metteva anche in discussione, implicitamente, l’egemonia americana. Che probabilmente vedeva quale sponsor, non con tutti i torti, di queste sette sorelle alle quali aveva giurato guerra.
Era un uomo pragmatico che ammise candidamente di pagare i partiti politici per servirsene, usandoli come dei taxi.
Nel 1955 trovò la fortunata combinazione per la quale, la Democrazia Cristiana, sempre più divisa in correnti e meno monolitica, decise di ribellarsi al potente del momento, rappresentato da Fanfani.
Fanfani, avrebbe voluto Cesare Merzagora presidente del senato. Invece Giovanni Gronchi riuscì ad essere eletto, con la sponsorizzazione di Mattei.
Presidente interventitsta
Già sottosegretario all’industria nel primo governo Mussolini, era poi stato tra gli uomini più fedeli di Don Sturzo. Successivamente aveva sempre rappresentato la corrente di sinistra della Democrazia Cristiana. Un vero scossone per l’alleanza Atlantica, considerata la aperta ostilità di Gronchi verso di questa. Tanto è vero che social democratici e repubblicani si rifiutarono di votarlo. Anche quando era ormai chiara la sua prossima elezione.
Gronchi inaugurò la funzione interventista presidenziale, addirittura cercando di ridefinire la politica estera auspicando la riunificazione della Germania come neutrale. E cercando di porre l’Italia in maniera equidistante tra il Patto Atlantico ed i paesi del Patto di Varsavia.
Notoriamente un libertino ed un dissoluto, tanto quanto Einaudi era austero e parco.
Intollerante a qualunque forma di critica. Durante la sua presidenza Vianello e Tognazzi pagano a caro prezzo una gag che indirettamente lo sbeffeggiava.
Nonostante come atto istituzionale di sola cortesia, il Presidente del Consiglio Scelba, gli avesse presentato le dimissioni, lui si adoperò attivamente affinché poco dopo riuscisse a cambiare il capo del governo. Prendendo a pretesto l’uscita di un gruppo minoritario. Riuscendo a mandare a palazzo Chigi prima Antonio Segni e successivamente, Adone Zoli, un romagnolo abbastanza poco risoluto che avrebbe consentito di traslare nel cimitero di Predappio la salma di Mussolini.
Zoli dovette fruire comunque dell’appoggio esterno del partito monarchico.
Dopo le successive elezioni e vivaci movimenti parlamentari arrivò la venuta del governo affidato ad un suo pupillo tale Fernando Tambroni. Ma paradossalmente questo riusciva a reggersi solo esclusivamente grazie ai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano.
Questo scatenò la rabbia più feroce di quelle sinistre alle quali il presidente avrebbe voluto aprire. Appena il Movimento Sociale decise di fare il suo congresso a Genova, città medaglia d’oro della resistenza, la situazione si rese insostenibile.
L’interventismo di Gronchi si scontrò con gli equilibri internazionali ed interni di un paese ancora troppo diviso.
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