In epoca di emergenza Coronavirus si deve registrare il diverso comportamento dei cittadini cinesi, e di quelli italiani rispetto a contagio e quarantena.
Due casi emblematici
Un ventisettenne italiano non ha avuto dubbi ed è rientrato al paese di origine, Montefusco in provincia di Avellino, scappando da Codogno, uno dei focolai in Lombardia in isolamento per il Coronavirus, dove era in quarantena in seguito alle disposizione del sindaco.
Il giovane ha, invece, deciso di partire e rientrare in Irpinia, con il rischio di estendere il contagio ad aree sinora apparentemente non toccate dalla malattia.
Ma l’atteggiamento pavido non è stato solo suo: arrivato a a destinazione, la notizia si è immediatamente diffusa e ha creato paura e preoccupazione tra il migliaio di abitanti di Montefusco, ed il sindaco del paese avellinese, Gaetano Zaccaria, ha firmato un’ordinanza, trasmessa al Prefetto e all’Asl, con la quale ha intimato a lui e a tutta la sua famiglia di non uscire da casa e non avere contatti con altre persone per due settimane.
L’auto-quarantena delle comunità cinesi
Sempre in Campania, a pochi chilometri da Avellino invece il popolo cinese evidentemente più responsabile ed abituato dal regime della madrepatria ad obbedire a misure di restrizione, ha deciso di mettersi in auto-quarantena, per tutelare la sicurezza pubblica per due settimane dopo il rientro del viaggio in Cina in relazione all’infezione da coronavirus 2019-nCoV.
Lo scrive il sindacato Cinese nazionale a Napoli in una comunicazione protocollata all’Asl Napoli 1 Centro.
Il sindacato spiega di “voler collaborare per evitare il diffondersi di eventuali contagi”, ma che non tutti i cittadini cinesi hanno la “possibilità di sottoporsi all’auto-quarantena nelle proprie abitazioni abituali”. Molti infatti i lavoratori cinesi che abitano, irregolarmente, nei capannoni o nei luoghi di lavoro, o in residenze molto affollate.
Per questa ragione viene chiesto all’azienda sanitaria “di individuare strutture per l’accoglienza e la quarantena dei soggetti”.
Tali richieste, peraltro disattese dalle autorità locali, per evidente incapacità di soddisfarle, sono state inoltrate dalle comunità cinesi di Prato, Trieste, Firenze.
Come scrivemmo giorni fa, tale senso civico e di responsabilità, da riconoscersi alle comunità cinesi, stride con la impreparazione e pochezza delle reazioni nostrane, a partire dai vertici politici fino ad arrivare ai cittadini comuni.
Lo constatiamo con amarezza ma è giusto riconoscerlo: qualora la diffusione della Coronavirus fosse arginato in tempi brevi, lo si dovrà sicuramente in massima parte al senso di autodisciplina degli orientali, che in tale tema hanno molto da insegnarci.
E pensare che invece la quarantena (originariamente, forma veneta per quarantina) è un’invenzione tutta italiana e risale al 1377 all’isolamento di 40 giorni imposta a navi e persone prima di entrare nelle laguna della Repubblica di Venezia, messa in atto come misura di prevenzione contro la peste nera, malattia che imperverso’ in Europa tra il 1347 e il 1359.