Fini e DAlema – Indro Montanelli, uomo di intelligenza e cultura fuori dal comune, aveva il pregio di indicare percorsi intellettualmente illuminanti. Ed il difetto che le poche volte nelle quali sbagliava, lo faceva di grosso. Era una delle persone più restie ad ammetterlo anche alla prova empirica, dell’evidenza dei fatti.
Ebbe a definire Massimo D’Alema e Gianfranco Fini due becchini politici che dovevano seppellire due ingombranti cadaveri. Il primo doveva seppellire un comunismo anti atlantista inaccettabile nel mondo successivo alla guerra fredda. Il secondo doveva inumare il fantasma di Salò. Poi lì definì i due cervelli politici su piazza.
Ma su questa seconda affermazione bisogna riconoscere che alla fine del secolo scorso, quando venne pronunciata, effettivamente il panorama politico italiano poteva indurre a prevedere un simile esito.
Gianfranco Fini
Ma Fini e D’Alema non sono paragonabili, non soltanto dal punto di vista ideologico, ma anche e soprattutto dal punto di vista delle qualità. Una destra alternativa a Berlusconi, Gianfranco Fini non la seppe costruire.
Lui non fu capace di fare molto proprio perché non seppe strutturare intorno a sé una nuova cultura di destra.
Non fu in grado neanche di fare evolvere una qualsiasi forma di ideologia. Poiché i riferimenti culturali di Gianfranco Fini furono sempre estremamente caotici, esattamente come cotica fu la sua azione politica.
Cercò di affrancarsi dal fascismo, senza mai farlo fino in fondo ed arrivando, quando ormai aveva apertamente perso ogni credibilità di leader, a portare avanti battaglie radical chic probabilmente ispirate dalla sua seconda moglie. Battaglie sulle quali ottenne l’aperto astio di tutto quel mondo di destra al quale pretendeva di fare da punto di riferimento. Battaglie che praticamente solo una esigua minoranza comprendeva nel suo stesso partito e che lo condannarono alla fine politica.
Non ebbe la capacità di fare una rivoluzione culturale ed ideologica, anche attraverso l’ausilio di uomini che ne avrebbero avuto tutte le qualità, quali ad esempio Fisichella.
Gianfranco Fini fu una parentesi ed alla fine venne fagocitato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, che prestato alla politica riuscì ad adattarsi meglio ad essa. Fini ebbe il merito di essere telegenico ed ereditare un progetto almirantiano di grande destra. Per il quale lui interpretò il ruolo del modernizzatore di una destra ormai anacronistica.
Alla fine pagò la sua totale indeterminazione, la sua evidente mancanza di strategia, che si acuì gravemente sin dalla morte di Tatarella. Ed una mancanza di cultura politica che lo rese sempre un interprete privo di reali contenuti.
Massimo D’Alema
Diversamente da Fini, Massimo D’Alema è sempre stato uno stratega politico. Ad oggi l’unico dirigente proveniente dai quadri del partito comunista ad essere diventato presidente del consiglio dei ministri.
Un punto di riferimento culturale nella transizione che aveva iniziato Achille Occhetto, stabile ed autorevole.
Anche i peggiori avversari di Massimo D’Alema debbono riconoscergli il merito di essere stato capace di rappresentare un baluardo intellettuale per una sinistra riformista di governo ed un trade union con la storia e la tradizione politica del PCI.
Nel complesso D’Alema ha saputo fare il funerale auspicato da Montanelli e incoronare una successione, pur con tutti i suoi limiti, al vecchio partito comunista. Questo è stato possibile per una precisa, a volte cinica, strategia politica ben definita ed una formazione culturale solidissima.
La totale inconsistenza strategica di Fini, e l’imbarazzante basso livello di formazione politica che hanno sempre contraddistinto il suo agire, d’altro canto hanno fatto il funerale soltanto alle sue aspettative e lasciato incompiuto un percorso di transizione necessario per la destra italiana.
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