Compie novant’anni la Conciliazione tra Stato e Chiesa. Ma a proposito di concordati, anche il primo riconoscimento giuridico degli ebrei in Italia, dopo secoli di semiclandestinità, avvenne con lo Stato fascista, sulla scia del Concordato con la Chiesa cattolica. Ma andiamo con ordine. Quando andavo a scuola, e non era sotto il regime fascista ma molto dopo, l’11 febbraio era festa a scuola. La Conciliazione che ricucì la ferita tra Stato e Chiesa dopo la breccia di Porta Pia, fu difesa pure dal leader comunista Palmiro Togliatti, che da capo del Pci e da Guardasigilli nel primo governo repubblicano difese tanto il Codice Rocco che i Patti Lateranensi.
Con la Conciliazione il duce rinnegava le origini anticlericali del fascismo e il progetto futurista e del primo fascismo di “svaticanare” l’Italia. E spiazzava quei fascisti neopagani e idealisti che vedevano la religione come una specie di stadio infantile e popolare della filosofia. Da Evola a Spirito, da Gentile allo stesso Croce, per intenderci. Sulla Conciliazione è uscito da poco un bel libro di Giancarlo Mazzuca, Quei Patti benedetti (Mondadori).
Ma accanto a quel vistoso Concordato con la Chiesa Cattolica, lo Stato fascista firmò anche un Concordato a latere, con gli ebrei che nessuno ricorda. Lo scoprì da ragazzino dalla viva voce di uno dei suoi protagonisti. Una volta mio padre mi portò a casa di un illustre vegliardo che viveva tra Roma e Bisceglie. Lo chiamava zio Nicola per via della parentela. Era Nicola Consiglio, giurista, direttore generale degli affari penali e degli affari di culto, stretto collaboratore del ministro Rocco. Su una parete di questa casa che sembrava imbalsamata, ferma all’antico, c’era una medaglia d’oro che la Comunità israelitica gli aveva donato nel 1930. Erano grati a quel giurista che aveva portato a compimento il riconoscimento pieno, giuridico e morale, delle comunità israelitiche. Spiegò don Nicola, che le governanti e i fattori chiamavano Sua Eccellenza, di averla avuta per il Concordato tra Stato ed Ebrei, voluto da Mussolini. D’altra parte, ricordava don Nicola, che fascista non fu mai, molti erano stati i fascisti ebrei dalla Marcia su Roma in poi. Lo Stato pontificio del Papa re e poi lo Stato laico e liberale non avevano mai riconosciuto giuridicamente la comunità israelitica in Italia; il regime fascista rimediò a questa lacuna.
Consiglio era un cattolico liberale che come molti magistrati conservò la sua autonomia durante il fascismo. Pur non essendo allineato, Mussolini e Rocco lo vollero a condurre le trattative col Vaticano e poi con la Comunità degli ebrei. Così fu chiamato a far parte del ristretto gruppo che doveva definire la Conciliazione. Succeduto a Domenico Barone, Consiglio si riuniva con Rocco, con Pacelli, giurista della Chiesa e fratello del futuro papa, il cardinal Gasparri (che con Maurizio non c’entra un beato fico), e Monsignor Borgoncini Duca. Si vedevano di nascosto la sera, e la governante di don Nicola, vedendolo uscire come un ladro per incontri misteriosi, pensava a chissà quale relazione amorosa. Invece, vedeva prelati e giuristi.
A volte in quegli incontri c’era anche il duce. Grazie a Consiglio, come attestano i verbali, la durata dei Patti non fu limitata a soli 5 anni, fu sdoppiata giuridicamente la parrocchia in chiesa e patrimonio; furono letti in chiesa gli articoli del codice civile sul matrimonio. Consiglio era timido e Mussolini si spazientiva per la sua ritrosia a parlare, e una volta lo incoraggiò a mormorare, aggiungendo che in Italia era stata abolita la critica ma non la mormorazione. Un’altra volta si spazientì per la riservatezza di Consiglio che non beveva neanche un caffè e ordinò d’imperio alla sua governante Cesira una camomilla che il timido don Nicola trangugiò ubbidiente. Ai nemici il duce dava l’olio di ricino, ai magistrati la camomilla. Quando il giorno fatale raggiunsero l’accordo, chiesero a don Nicola cosa bevesse per festeggiare. Lui chiese “acqua e zucchero” e Mussolini si associò: brindarono così con acqua (santa?) e zucchero al Concordato. Subito dopo la Conciliazione, Consiglio elaborò la legge sulle Comunità israelitiche. La commissione che se ne occupò era composta da tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi, rappresentanti dello Stato italiano. Salomonica. Scrive Renzo de Felice: “il governo fascista accettò quasi in toto il punto di vista ebraico”. Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini “la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani” e sulla rivista Israel Angelo Sacerdoti definì la nuova legge “la migliore di quelle emanate in altri stati”. Poi arrivò l’alleanza con Hitler e con lui le sciagurate leggi razziali.
A cent’anni suonati, Don Nicola ricordava che Mussolini gli disse l’11 febbraio del 1929 “lei passerà alla storia”. E lui rispose: “Sono stato semplicemente la mosca cocchiera”. Alla storia in effetti don Nicola non passò, in compenso concorse a lasciare due benemeriti fondamenti giuridici, il concordato con la chiesa e con gli ebrei. Il primo rimosso, il secondo negato.
MV, La Verità 10 febbraio 2019