Quello dei gilet gialli, in francese gilets jaunes, è un movimento spontaneo di protesta nato sui social network nel maggio del 2018, sorto dalla protesta contro l’aumento dei prezzi del carburante e l’elevato costo della vita, risultato delle riforme fiscali dei governi europei che stanno penalizzando le classi lavoratrici e medie, specialmente nelle aree rurali e suburbane. I manifestanti chiedono la diminuzione delle tasse sul carburante, la reintroduzione della tassa di solidarietà sulla ricchezza, un aumento dei salari minimi, e l’attuazione dei referendum d’iniziativa dei cittadini.
Durante una delle consuete manifestazioni parigine del sabato, nell’anniversario della loro prima manifestazione, hanno distrutto o comunque danneggiato la statua del maresciallo Alphonse Juin posta, tragica ironia dei francesi, proprio in Place d’Italie. Ironia perché in Italia Juin permise violenze inaudite ai danni della popolazione ciociara e non solo.
Il maresciallo Juin un autentico criminale di guerra.
Erano 12.000 i Goumiers marocchini che facevano parte del Corpo di Spedizione del generale Alphonse Juin. Provenivano soprattutto dalle montagne del Riff, una regione interna del Marocco (allora colonia francese).
Erano organizzati in reparti non regolari, denominati Tabor, di origine tribale: ogni Tabor contava poco più di 900 uomini, compresi gli ufficiali francesi che li comandavano. Erano soldati abilissimi nella guerra di montagna e silenziosi di notte, ambito quest’ultimo nel quale preferivano il coltello alle armi da fuoco, con il quale si procuravano macabri trofei dai corpi dei nemici uccisi. Ma la loro violenza non era solo perpetrata sugli avversari, spesso invece sulla popolazione inerme.
Anzi una versione, mai confermata dai francesi, era che all’atto del loro reclutamento avessero la promessa di diritto di bottino e saccheggio, e che proprio Juin promise e concesse loro 50 ore di violenza libera dopo lo sfondamento della linea Gustav tedesca.
Ma le violenze in realtà durarono ben di più.
Il primo caso acclarato di violenze carnali da parte dei soldati coloniali del generale Juin è datato 11 dicembre 1943, nella zona delle Mainarde: se ne resero protagonisti alcuni componenti della 573ª compagnia comandata da un sottotenente francese che, stando al rapporto ufficiale degli americani che li avevano in forza nella loro V Armata, fu letteralmente incapace di controllarli.
L’11 maggio, nell’ambito della quarta e ultima battaglia di Cassino, iniziò il loro assalto in direzione dei monti Maio e Petrella: i tedeschi ressero 48 ore, poi furono travolti. Con la successiva avanzata, davanti ai Goumiers le montagne iniziarono a diradarsi e apparvero i primi villaggi abitati.
La terribile vicenda delle marocchinate
Ebbe inizio così un periodo di terrore senza precedenti, che per due settimane imperversò sulle popolazioni inermi dei centri ciociari, i primi due paesi martoriati furono Ausonia ed Esperia: qui in pratica nessuna donna sfuggì alla violenza. Le cronache parlano di casi pietosi: madri che si fecero uccidere per difendere le loro figlie, uomini che subirono la stessa sorte delle donne che tentarono di salvare. Ad Esperia anche una vecchia di ottant’anni subì le loro violenze, così come anche il parroco del paese, che morì a seguito delle ferite.
È stimato che solo in questi due centri le vittime delle violenze carnali furono in totale oltre 800; ma in molti casi la vergogna ebbe il sopravvento e molti degli stupri non vennero denunciati.
Poi i Goumiers andarono avanti, procedendo nella loro travolgente avanzata all’inseguimento dei tedeschi ormai in fuga e la loro furia si abbatté su Vallecorsa, Pico, Castro dei Volsci e tanti altri centri minori, in una lunga scia di dolore e di vergogna. Alcune targhe ricordano quelle vicende sanguinose.
Il risarcimento beffa del dopoguerra
La tragedia delle migliaia di donne vittime di abusi sessuali durante l’avanzata delle truppe franco-marocchine nel corso della II Guerra Mondiale venne discusso alla Camera dei Deputati nella seduta notturna di lunedì 7 aprile 1952.
L’on. Maria Maddalena Rossi, del Partito Comunista Italiano, fece una specifica e appropriata disamina della questione dal punto di vista sociale, sanitario, assistenziale. Citava i casi più eclatanti delle violenze subite anche da donne settantenni e ottantenni, da suore, da preti, ricordando i brutali assassini di bambini, di genitori, di mariti che tentavano di difendere l’onore e di sottrarle agli stupri le proprie figlie, le proprie mogli, le proprie sorelle nella trentina di paesi delle province di Frosinone e di Latina percorsi dalle truppe coloniali francesi (Pontecorvo, Sant’Angelo, San Giorgio a Liri, Pignataro, Ceccano e quindi Esperia, Castro dei Volsci, Vallecorsa, Pastena).
Ricordava che «dodicimila donne avrebbero, dunque, subito violenza da parte delle truppe marocchine e sarebbero state contagiate» così che negli anni 1944, 1945 e 1946 altrettante domande di indennità erano state presentate alle autorità competenti. Alcune di quelle donne nel 1944 avevano ricevuto «dal governo francese somme varianti da 30 a 150 mila lire per soccorso immediato». Quindi furono riconosciute titolari, in qualità di vittime civili della guerra, di libretti di pensione che avrebbero «dato loro diritto, essendo assegnate alla settima ed all’ottava categoria, a somme varianti da 1.400 circa a 3.000 lire al mese».
Ma in base alle norme legislative introdotte negli anni del dopoguerra i libretti ricevuti «non davano, in pratica, e non avrebbero dato per molto tempo e in alcuni casi mai, diritto ad alcuna riscossione di denaro» oppure sarebbero durati «fino alla scomparsa dell’infermità fisica contratta, dopo di che queste sventurate non avrebbero avuto più diritto a nulla».
La risposta del governo (il De Gasperi VII) fu affidata al sottosegretario al Tesoro con delega alle pensioni di guerra, il sen. Tiziano Tessitori. Ed ebbe il sapore di una tragica beffa. Nel suo intervento specificò che complessivamente al 1951 erano state 17.368 le domande con richiesta di indennizzo, «per un importo complessivo di danni pari a lire 654.680.782», ma le norme in vigore in quei momenti non consentivano il cumulo dell’indennizzo con la riscossione della pensione di guerra, per la legge n. 548 del 10 agosto 1950, risultava modificata dalla legge 9 gennaio 1951 n. 10, in specie dall’art. 3 «in forza del quale le indennità per i danni di guerra non [erano] cumulabili con nessun altro indennizzo né beneficio».
Di queste gesta “gloriose” delle truppe Franco Marocchine rimane la statua del Maresciallo Juin, cui si sono finalmente abbattute le ire dei gilet gialli. Speriamo che sia un momento di riflessione sugli orrori della guerra da non passare nel silenzio e nell’oblio della storia.