FAKE BUCHA – Alla fine torniamo sempre lì. Alla voglia giornalistica di indossare l’elmetto. Al vizio, comprensibile forse, ma errato, di prendere per buono tutto quello che arriva da fonti governative ucraine. Ricordate gli aerei che sorvolano le città carichi di bombe, spacciati per veri e invece simulazione da videogioco? Oppure i martiri dell’isola dei serpenti, che martiri non sono visto che alla fine sono tornati sani e salvi in Patria? Ecco. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto per la strage di Bucha.
Toni Capuozzo da giorni predica calma, o meglio il sano esercizio del dubbio. Mentre ci si indigna per i cadaveri di Bucha, per le orribili storie di sevizie, per i racconti dei testimoni, ci si può anche porre alcune domande sulle strane date di quei corpi lasciati per strada, sul nastro bianco al braccio dei cadaveri, sulla caccia ai disertori sponsorizzata da Kiev. Ma soprattutto, bisognerebbe andarci coi piedi di piombo quando chissà chi spiattella la fotografia dei “colpevoli” del massacro senza che vi sia stata alcuna sicura indagine internazionale.
Ricorderete forse che il giorno successivo alla pubblicazione delle prime immagini di Bucha, i giornali occidentali – italiani in primis – hanno mostrato al mondo la foto di una unità dell’esercito russo proveniente dalla Siberia e indicata come il covo di macellai che avrebbero seminato morte nella cittadina alle porte di Kiev. Articoli su articoli sul comandante della 64esima brigata di yakuti. La loro fotografia che fa il giro del mondo. Commenti sulle atrocità su Asanbekovich e l’unità 51460. Titoli ad effetto tipo “killer di Bucha” e “ultimo mostro del putinismo”. Piccolo problema: con ogni probabilità, quelli nella famosa fotografia non sono gli autori della strage.
Una foto del 2019
Luigi De Biase, giornalista del Tg5, è riuscito a parlare con alcuni di loro. Due vivono in Yakutia, hanno lasciato l’esercito da mesi e non hanno mai prestato servizio militare in Ucraina. Per la verità non sanno praticamente neppure dove sia, visto che – dicono – non ci sono stati neppure da civili. La famosa fotografia sarebbe stata scattata a Khabarovsk nel 2019, all’inizio della leva. Poi Vladimir Osipov è stato congedato a dicembre ed è tornato a casa. Lo stesso anche Andrey, un altro dei soldati immortalati, secondo cui tutti i suoi compagni nello scatto hanno lasciato l’esercito da tempo.
La loro foto era finita sui giornali attraverso quello strano percorso che si chiama rimbalzo delle notizie: prima il governo ucraino ha diffuso le sigle delle compagnie che avrebbero occupato Bucha, poi il sito InformNapalm ha diffuso i dati di migliaia di soldati che hanno prestato servizio al loro interno, l’informazione è stata ripresa di giornale in giornale e così è diventata di dominio pubblico. Come i nomi e gli indirizzi dei presunti boia. Va detto che sui canali Telegram russi da giorni si sosteneva che i protagonisti di quella foto non avessero mai prestato servizio in ucraina. Ma ovviamente nessuno ci ha creduto. Propaganda.
Possibile che i due soldati sentiti da De Biase e intervistati dal Manifesto stiano mentendo? Certo, tutto è possibile. “Il servizio è durato due anni e l’ho svolto con la 64esima brigata, a Khabarovsk, nella base di Knyaze Volkonskoye – dice però Osipov – La leva è finita a dicembre e io da allora ho sempre vissuto qui con la mia famiglia“. Gli fa eco Andrey: “Assieme a quella fotografia, giorni fa, sono stati resi pubblici i miei dati personali. I primi ad accorgersene sono stati alcuni amici. Mi hanno avvertito. Mi hanno chiesto che cosa stesse succedendo. Ho ricevuto messaggi con insulti e minacce. Ero sotto shock. Come potete capire è una brutta situazione”.
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fonte: nicolaporro.it