Era di marzo, proprio come oggi, quando i marziani scesero sulla terra. Come ieri planarono sulla terra, col voto, come oggi scesero dall’astronave. Parlo dei grillini che vinsero le elezioni come primo partito, mentre il centrodestra a trazione Salvini vinse come coalizione. Da quella strana situazione, dopo lunga gestazione, nacque lo stranissimo governo in carica, comunemente detto gialloverde, come il cercopiteco, la mitica scimmietta. Di quel governo ci preoccuparono molte cose vistose, ma ci piacquero due cose in particolare: partiva dalla sovranità popolare, dalla vita reale dei cittadini, e scacciava il Partito-Potere, la Sinistra-Regime dal governo e i potentati, dichiarando al contempo chiusa la stagione inciucista e la parabola berlusconiana e poi renziana.
Non posso negare, lo dico a titolo personale, il disagio per la coabitazione tra i leghisti, che da uomo del sud e da patriota destavano le mie iniziali riserve ma che poi hanno finito per rappresentarci al governo, e i grillini, che oltre la ormai proverbiale fama di Inadeguati-Ignoranti-Impreparati (le tre i dei 5 Stelle), sono sul piano delle idee, dei valori, dei pregiudizi la versione naive della sinistra radical: da ultimo in tema di famiglia, di droga e di ordine pubblico, più in generale di politically correct, di nomine, di evanescenza culturale, di conformismo storico e antinazionale, lo dimostrano ogni giorno. Il meglio risulta essere addirittura il vecchio leone Beppe Grillo, poi con grandi sforzi si riesce a sopportare l’Alleato, lo statista portatile Giggino Di Maio, ma non si regge il resto, da Diba non ancora Maduro, al Fico, imitatore tardivo della sinistra più fessa. Preoccupano alcune loro proposte e soprattutto alcuni loro divieti, ma in mancanza d’alternative decenti non ci sentiamo di tifare per lo sfascio.
Di Maio, in particolare, somiglia non solo fisicamente a un cercopiteco. Il primate viene descritto in questo modo: ha la testa rotonda, gli occhi cerchiati, il viso scuro, il corpo snello e giallo-verde, gli arti esili ed è piccolino di statura. I cercopitechi, dice wikipedia, sono arrampicatori e saltatori, ma scendono anche al suolo, vivono in gruppi in movimento ed emettono grida per evitare gli sconfinamenti degli altri gruppi, come i leghisti e il pd che erodono il loro territorio elettorale.
Poi ci sono loro, i leghisti. Sono loro il Nemico Principale degli SMS (sinistra-magistrati-stampa). Matteo Salvini è il Gatto Mammone della Repubblica, la bestiaccia nera, lo spauracchio da tenere fuori da ogni recinto, salvo il carcere. I magistrati, i media e la sinistra cristiano-macronita (che oscilla cioè tra Bergoglio e Macron) hanno certificato lo status giuridico e zoologico di Gatto Mammone del leader leghista. Il Gatto Mammone è il residuo magico di un mondo di favole, paure, inganni e dicerie. Mezzo diavolo, mezza icona di Carnevale, il Gatto Mammone colpisce l’Immaginario popolare e populista, spaventa i piccoli, i neri e i buoni. Il gigantesco, mostruoso gatto fu ritratto da Dino Buzzati in seguito a un fatto di cronaca del fatidico ’68: una donna di nome Serafina segnalò la presenza del Gatto Mammone nel bellunese. La donna si sarebbe salvata per l’intervento di Santa Rita apparsa sotto forma di topo gigantesco, il quale distrasse l’attenzione del mostro. Chi sarà la Santa Rita che vestirà i panni del Topo gattifugo, in funzione anti Salvini? La Merkel, la Boldrini, il duo Carfagna-Prestigiacomo, Zingaretti in versione trans (visto che le donne nel Pd hanno ora un ruolo ancillare) o chi altra?
Prima di processarlo e condannarlo, gli è stata già affibbiata la turpe nomea del minaccioso gattone mitologico, pericoloso per i suoi nemici che mangia in un sol boccone, ma anche per i suoi amici, a cui toglie spazi (Berlusca e la Meloni ne sanno qualcosa). Spaventa in particolare i migranti, i rom e tutta l’industria dell’accoglienza. Da quando cresce a dismisura nei sondaggi, è salito una specie di terrore misto a insofferenza e di odio etnico per tutta la razza dei salvinidi. Fino alla scoperta della natura diabolico-felina dell’Animale padano con le zampe a forma di ruspa e i bacioni a manetta.
In tanti dicono che Salvini è privo di strategia, pensa solo ai voti e all’effetto immediato delle sue campagne e delle sue battute. Vero, purtroppo. Ma questo è proprio ciò che lo assimila agli altri politici in campo, pescatori occasionali. Ciò che invece lo differenzia dagli altri è che lui richiama due cose importanti e meno passeggere: l’identità di una patria, i suoi confini, la sua sovranità, le sue tradizioni, il futuro dell’Italia se vince l’accoglienza, coi porti aperti e le porte spalancate. E la sicurezza per fronteggiare la malavita di dentro e quella da sbarco. Salvini è l’unico leader – insieme alla Meloni, va detto – che si ribella al nostro suicidio assistito come popolo, come nazione, come civiltà, ripartendo dalla realtà. E a differenza dei grillini scommette sullo sviluppo e non sul freno.
La Casta gli è contro, l’umanità ferita lo teme, la magistratura gli dà la caccia, l’Europa lo respinge, e così tutto il repertorio di vecchie zie faziose, a volte anche di nome. Il Gatto Mammone, però, attira sempre più voti, piace agli italiani e fa parte di un club di Gatti Mammoni che governa ormai più di mezzo mondo, a furor di popolo. Se i gatti hanno sette vite, figuratevi i gatti mammoni.
Un anno è passato da quel dì, dalle Idi di Marzo, e il Gatto Mammone ha raddoppiato il consenso, il Cercopiteco è molto calato. E noi restiamo in attesa di vedere tra l’Europa e l’Autonomia, il reddito di cittadinanza e le pensioni riscritte, l’avvenire che ci aspetta.
MV, La Verità 5 marzo 2019