I tornanti della Futa si susseguono in una fredda giornata di ottobre.
Inseguo i miei pensieri, mentre scalo un passo in compagnia di quasi settecento libbre di metallo americano borbottante..
Mi fermo al rifugio. Il passo della Futa è sempre lo stesso da decenni. Se non da secoli. Precede di poche centinaia di metri quello della Raticosa.
Uno dopo l’altro in successione, contrapposti eppure legati.
Quasi mille metri di quota, un’aria tagliente già invernale.
In un angolo di questo rifugio trovano posto vecchie foto.
Ritraggono quello stesso posto negli anni: moto di tante generazioni, vecchie auto grandi come gabbiette per canarini che muovevano l’Italia nella ricostruzione e la sua voglia di rivalsa. Sapori antichi di scampagnate semplici che odoravano di libertà e spensieratezza, al suono di vecchie lambrette e vesponi.
E poi in fondo, con i bordi sciupati e un po’ consunta, una foto dai colori seppiati: vecchi autocarri militari dalla meccanica provata, arrancano su quella stessa strada che mi accoglieva fino a qualche minuto prima. Nella foto è appena visibile, invasa com’è dalla neve e dal fango..vecchi trucks da truppe di montagna che condividevano la stessa provenienza della mia moto, venuti da oltreoceano, per allora da un altro mondo. Una guerra non loro, guidati da ragazzi poco più che adolescenti che provenivano da realtà aliene rispetto ad un tranquillo valico appenninico italiano, o meglio, tosco-emiliano.
Venivano a combattere altri ragazzi ancora più giovani, che pur strappati alle loro valli e le loro case di legno, ed ai loro semplici svaghi di birre artigianali, si trovavano ad essere additati come il male assoluto. Loro, che di politica probabilmente non sapevano nulla, che ad un’imposizione dall’alto avevano risposto con il senso del dovere cieco dei coscritti e dei semplici: semplici e coetanei dei nostri nonni.
Li ho intravisti, quei ragazzi, poco fa, distrattamente: riposano infreddoliti in due cimiteri militari in fondo vicini, ma separati, come sarebbero stati loro per sempre, onorati dalle loro nazioni e, con eguale solennità, dimenticati.
Uno dopo l’altro, in successione, contrapposti eppure legati. Come i due passi.
Per la Patria
Morti per la Patria, concetto aulico per definire il profumo del cibo della nostra nonna che bolle sul fuoco la mattina presto. Il piazzale dove tuo padre ti ha insegnato a tirare un calcio di interno collo ad un pallone troppo duro e pesante per un bambino come te. O ad andare in bici senza rotelline, finalmente.
Un truck, forse della 91^, si inclina pericolosamente a sinistra, in quella foto, pieno di chissà che, affronta l’ultima curva che lo porterà al passo, col suo carico di gioventù..poi da là sarà tutta discesa.
I ragazzi che da là a casa torneranno, giovani americani di settant’anni fa, troveranno da cavalcare forse un’Harley WL demilitarizzata per sentirsi liberi e sopravvissuti. Vivi e spacconi, con le ragazze che si ispireranno alle Pin Up dei noses dei bombardieri ad elica.
Alcuni di quegli aerei sono ancora tra noi.
Come quelle vecchie moto militari, che saranno modificate sempre più, per essere più leggere, per andare più forte, per essere più libere e dimenticare la loro uniforme verde.
Da questa Linea Gotica, cui tanti hanno sacrificato la loro giovane vita, alle corse sulle Dirt Tracks il passo è breve. Quei ragazzi, cui valori e gerarchia militare ormai hanno imposto i loro canoni, perpetueranno Club Motociclistici già esistenti al tempo ed altri ne fonderanno. Si ritroveranno ventenni già Veterani, per tornare alla vita precedente.
I nomi e le patch di quei Club girano per le strade del mondo ancora oggi, fuori dal pantano di un passo montano e della vita.
E’ la suggestione dell’epopea dei Club MC, MotorCycle Clubs, che sono arrivati fino a noi.
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