Il brutale attentato a Mosca getta la Federazione Russa nel caos e nel panico, in un momento storico estremamente complesso per quel Paese da due anni impegnato in un sanguinoso conflitto in Ucraina.
Nella serata del 22 Marzo scorso, alla sala da concerti Crocus City Hall di Mosca, terroristi armati di tutto punto, sono entrati facendo fuoco all’impazzata sulla folla terrorizzata e lasciando morti e feriti. In seguito, lo stesso tetto dell’edificio a causa di un incendio le cui origini sono tuttavia al momento ignote, è crollato facendo ulteriori vittime e determinando peraltro, notevoli problemi anche ai soccorsi.
Il drammatico bilancio della strage è di 137 morti di cui 3 bambini e 180 feriti
La Russia dunque ripiomba nel terrore interno. Putin ha taciuto per un giorno intero, mentre Medvedev ha immediatamente (e sguaiatamente) incolpato l’Ucraina del terribile gesto. Segno evidente di una classe dirigente presa completamente in contropiede dai fatti e che si scopre vulnerabile proprio quando fa di tutto per offrire di sé un quadro opposto.
L’attentato è stato poco dopo rivendicato dall’ISIS, redivivo Stato Islamico, che sembrava definitivamente sconfitto ma che invece rialza la velenosa testa per terrorizzare i russi e, invero, il mondo intero. ISIS che per rafforzare la propria rivendicazione, nella giornata di ieri, ha diffuso video proiettati direttamente dalle body cam degli attentatori in cui si vede la dinamica dell’azione terroristica minuto per minuto.
Per questo, ma non solo per questo, la rivendicazione è giudicata credibile, e, nonostante i tentativi di addossare la colpa all’Ucraina – probabilmente per giustificare una intensificazione della guerra – non sembra essere, al momento, in discussione.
Al contrario, invece, balzano agli occhi alcuni elementi relativi alla gestione dell’intervento delle Forze Speciali con i relativi ritardi e disfunzioni, che lasciano intravedere quantomeno molta approssimazione, e persino teorie per le quali l’attentato sarebbe una False Flag Operation.
Non sarebbe cosa strana, invero
Soprattutto in paesi evidentemente non democratici e nei quali il terrorismo è arma di consolidamento del potere e di repressione del dissenso.
Non è mai facile dimostrare una False Flag Operation, ma certo ci sono alcuni punti fermi su cui occorrerà indagare a fondo.
Innanzitutto, il 7 Marzo, i servizi segreti americani avevano allertato i russi sulla probabile imminenza di attentati sul territorio e in particolare in sale da concerti.
Putin e il Governo hanno indubbiamente sottovalutato questi allarmi
Perchè?
Perchè mai le operazioni di salvataggio sono state avviate con un certo ritardo? Come è possibile che gli attentatori – alcuni dei quali, come detto, sono stati arrestati successivamente, siano riusciti a fuggire praticamente indisturbati?
Solo un problema di organizzazione o c’è dell’altro?
Intanto, in Russia sono stati arrestati 11 terroristi di cui 4 presunti esecutori materiali di questo terribile attacco. L’auspicio è che ciò contribuisca a far luce sul tragico evento ma il sospetto è che, in questo caos, la verità sarà difficile da far emergere con chiarezza (semmai emergerà).
Certamente per un governo forte che fa della sicurezza dei propri cittadini un punto di vanto, quanto accaduto al Crocus, è uno smacco politico di notevole dimensione, che potrebbe inficiare almeno parzialmente il risultato delle elezioni (si fa per dire!) vinte con largo margine proprio una settimana fa dallo stesso Putin.
Stiamo inchiodati dunque ai fatti
Ad oggi, l’attentato è di matrice islamica e questo non stupisce nessuno, poiché l’integralismo islamico in Russia è forte e ha una drammatica tradizione di sangue.
Gli attacchi al Crocus City Hall riportano drammaticamente alla mente la lunga scia di attentati che ha colpito negli anni la Russia almeno nell’ultimo ventennio.
Dalla strage di Pechatniki e di viale Kashiskoe nel 1999, fino Beslan nel 2004, passando per una serie tragica di morti e feriti in attentati di tal matrice
Attentati che sono divenuti trigger di innesco non solo di spietate repressioni interne, ma anche per le feroci guerre che la Russia ha scatenato contro la Cecenia, territorio di addestramento prediletto dei terroristi islamici. Erano i tempi della dottrina della “guerra preventiva” seguita agli attacchi dell’ 11 Settembre e il pericolo islamista si stagliava all’orizzonte come un cancro da estirpare violentemente, senza andare troppo per il sottile.
E la Federazione Russa (e non solo) ha attinto a piene mani dalla estrema flessibilità con cui si profilava la dottrina in questione, certamente contribuendo a combattere il terrorismo, identificando come tale ciò che politicamente era più comodo.
Sappiamo poi come è andata
E’ storia ahimè recente, dalle Primavere arabe involute poi nel dominio dei fondamentalisti islamici, alla ignominiosa ritirata dall’Afghanistan che ha aperto la porta a ulteriori guerre.
In Siria il Cremlino, è schierato fermamente con Assad contro i ribelli sostenuti dall’ISIS, ma d’altra parte è (non tanto) indiretta sostenitrice dell’Iran e, quindi, di Hamas (che, con discreto spregio del senso del ridicolo, ha fatto pervenire parole di solidarietà), altra organizzazione terroristica che ha sparso morte e terrore contro i civili in Israele il 7 ottobre.
Un dedalo di relazioni pericolose degne dei romanzi di Forsyth o di Clancy, un gioco di specchi in cui non si sa più chi è il nemico e chi l’amico
In tutto questo, i civili sono i più esposti proprio come Crocus City Hall tragicamente dimostra, alla mercè di violenti singoli o organizzati che siano in Russia, o in Belgio o altrove.
Una minaccia, dunque quella islamica a lungo sottovalutata, dopo la sconfitta militare dell’ISIS, e che torna a terrorizzare l’Occidente.
Il network del terrore è molto dinamico e alla sconfitta di una sigla, segue spesso la nascita di un’altra o il rafforzamento di una precedente
Infatti, la profonda divisione che sussiste anche tra le varie organizzazioni terroristiche, se da un lato è elemento sicuramente importante per poterle sconfiggere (divide et impera), dall’altro genera una forma di sadica e perversa competizione di sangue fra le stesse per accreditarsi alle masse di riferimento.
E i premi in palio sono le nostre vite, il campo di battaglia è l’Occidente inteso non come un asset geopolitico, ma come un modo di vivere che prescinde dalla reale collocazione dei paesi bersaglio degli attentati.
Ebbene, in un mondo così frastagliato e che viaggia spedito verso la Terza Guerra Mondiale, rimane ancora la speranza che il mondo civile possa coalizzarsi contro la minaccia fondamentalista, ma si tratta di una speranza flebile contraddetta dai fatti, dalle impostazioni ideologiche che finiscono per agevolare tale minaccia. Un sogno di pace che sfuma giorno dopo giorno nel tramonto della giustizia internazionale e nell’ipocrisia di chi invece dovrebbe a questa presiedere.
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