Costruzioni e infrastrutture verso il termine del loro ciclo di vita
La tragedia del Ponte Morandi a Genova porta all’attenzione di tutti quello che nel mondo delle costruzioni si paventa da un po’ di tempo a questa parte, ovvero che la tecnologia del cemento-armato è ancora giovane, da testare alla prova del tempo e quindi con seri dubbi di durabilità e affidabilità.
È infatti una tecnologia nata a metà dell’Ottocento e ad oggi cominciamo a testarne i limiti. Occorre anche riflettere sul fatto che, come tutte le nuove tecnologie, vengono affinate via via che le tecniche evolvono, sia nella qualità dei materiali, sia nel loro abbinamento, pertanto le prime strutture in cemento-armato sono di gran lunga più deboli di quelle che oggi costruiamo.
I materiali
I materiali sono praticamente due, il calcestruzzo e il ferro, che mutuamente concorrono nelle prestazioni statiche, il primo ben resiste alla compressione, il secondo alla trazione. La collaborazione dei due ne fanno una tecnologia atta a soddisfare le più disparate esigenze costruttive e, vista anche la duttilità del loro confezionamento, l’adattabilità alle più estreme realtà cantieristiche.
Più volte la tecnica del cemento-armato è stata usata per realizzazioni ardite e più volte questa ha dimostrato la sua validità per dare libero sfogo all’immaginazione compositiva di architetti e ingegneri, che hanno dato prova di sé cimentandosi in veri e propri capolavori.
In un mondo perfetto, un mondo cioè in cui la decadenza fisica è sostituita dall’eternità, il ragionamento si fermerebbe qui, ma purtroppo il nostro è un mondo caduco ed insieme ai nostri corpi decade ogni materia, comprese quelle di cui è composto (appunto) il cemento-armato.
Le criticità
Il cemento è un materiale poroso e come tale sottoposto ad essere permeato dall’aria e dalle particelle in essa contenute. Nella migliore delle ipotesi è soltanto acqua, ma in essa sono presenti una serie di inquinanti emessi dal nostro Sistema produttivo, che diventano sempre più aggressivi. Il ferro, venendo a contatto con le particelle permeate dal cemento, è sottoposto ad un costante processo di ossidazione che, oltre la riduzione della superficie resistente, determina anche una espansione fisica con conseguente sgretolamento del calcestruzzo… ed ecco che il danno è fatto!
Purtroppo non basta, le molecole del cemento sottendono anche ad un fenomeno chimico-fisico detto di rilassamento, ovvero un micrometrico spostamento, dovuto ai pesi e alle compressioni a cui sono sottoposte; fenomeno che determina nel tempo un infinitesimale modifica fisica i cui effetti devono ancora essere verificati nel tempo (appunto).
Anche la normativa sancisce un periodo temporale di vita del cemento-armato di 50 anni, periodo in cui mantiene tutte le caratteristiche di resistenza. Questo non vuol dire che dopo 50 anni non è più sicuro, vuole però dire che dopo tale scadenza c’è bisogno di intervenire.
Cosa fare?
Prima di tutto, si deve confinare il manufatto con specifici prodotti chimici, in modo da renderlo impermeabile agli agenti atmosferici, poi occorre un monitoraggio costante per verificare in tempo reale ogni possibile spostamento anomalo o modifiche, anche micrometriche, della forma.
Le disgregazioni devono essere fermate chimicamente e le mancanze di materiale ricostruite; ma si arriverà inevitabilmente ad un punto in cui il costo delle manutenzioni/monitoraggi sarà diseconomico rispetto alla demolizione e ricostruzione dell’intero manufatto.
Molte infrastrutture italiane sono state realizzate negli anni ’60 -‘70
In Italia molte infrastrutture sono abbondantemente arrivate ai fatidici 50 anni e d’ora in poi, se non soggette a costante e continuativa manutenzione, deperiranno rapidamente e saranno causa di disastri e lutti inaccettabili per una Società che si definisce moderna. Arriverà anche il momento, e in taluni casi è già così, in cui si dovrà procedere alla loro completa sostituzione.
Molto c’è quindi da fare, anni in cui la crisi dell’edilizia può e deve essere superata da una simile attività, che peraltro ha una forte valenza collettiva e per il nostro Paese un irrinunciabile valore economico/produttivo.
Occorre una presa di coscienza collettiva e istituzionale, dapprima però collettiva, perché ben sappiamo che le Istituzioni sono governate dalla politica, e quest’ultima segue quello che la gente vuole… o almeno così dovrebbe essere in una democrazia compiuta!