Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me

Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me.

Questo è ciò che è scritto sulla lapide di Immanuel Kant (1724 – 1804) ed è pure la frase con cui il filosofo chiude la sua opera Critica della ragion pratica.  Ai tempi del liceo, la prima sensazione che ebbi davanti a questa bellissima affermazione è che il filosofo illuminista paragoni la grandezza e lo splendore del cielo all’imprescindibile valore della legge morale in un affascinante continuum tra fisico e metafisico.                                                                     Lo si è già sentito dire così tante volte, che ormai la “perdita di valori” è entrata di diritto nel novero delle frasi fatte alla pari delle “mezze stagioni” e de “i soldi non sono tutto”. Resta però il fatto che specialmente le nuove generazioni hanno sempre più difficoltà a  trovare qualcosa in cui credere e per cui valga la pena impegnarsi così come individuare dei modelli cui trarre ispirazione. L’opinione comune spinge verso una crisi morale ormai diffusa, quasi un percorso senza ritorno. Chi crede nell’uomo ha sempre più difficoltà ad intraprendere percorsi virtuosi e, delusi dalla cultura, dalla politica e dall’associazionismo, reclama dai movimenti spirituali o più genericamente religiosi e fideistici una via che possa rinnovare gli animi. Ciò è evidente sia dal fiorire di numerose nuove forme di spiritualità (vedasi i tanti movimenti new-age) sia dalla riscoperta di antiche tradizioni sapienziali e religioni, percepite più attuali di quelle abitualmente praticate.   Ma ciò ci è sufficiente per accettare che il rinascimento della morale, uno dei processi più intimi dell’uomo, possa svilupparsi quasi necessariamente nell’ambito del trascendente collettivo, in special modo quando codificato in un movimento religioso? 

Giova ricordare che con il termine di “religione” si intende il rapporto che lega l’uomo al divino, il culto animato da un sentimento di fede che si conclama in pratiche spirituali e rituali di adorazione della divinità che ne è riferimento, il tutto organizzato in specifiche gerarchie e ruoli.

La “morale”, termine che l’etimologia fa derivare dal latino mos-moris  cioè costume o usanza, può invece essere definita (pur in via semplificata) come la capacità dell’essere umano di orientarsi tra il bene ed il male. Da non confondere con l’etica che rappresenta l’attitudine ad interpretare la morale, intesa come disciplina, traendone un comportamento da adottare. La mia riflessione parte dalla scomposizione del concetto di morale in morale laica e morale religiosa. La prima è sviluppata da quella libertà intellettuale tramite la quale l’uomo, scevro da ogni tipo di dogmatismo,  attualizza la morale in etica applicando il proprio libero arbitrio. D’altro canto, la morale religiosa trae fondamento dai principi che costituiscono le basi del rispettivo credo religioso e, in virtù di ciò, viene considerata dai fedeli la vera morale, non influenzata da inquinamenti relativisti da parte dell’umano proprio perché discendente direttamente dalla divinità o da un suo profeta. I suoi principi vengono diffusi da specifici ministri del culto stesso, ambasciatori unici della divinità in Terra.

Preso atto di quanto sopra, è facilmente deducibile come la morale religiosa ponga l’uomo in uno stato di sudditanza rispetto ai propri dettami in quanto, stante l’origine divina, non ammette interpretazioni e/o travisamenti poiché qualunque intervento in tal senso sarebbe empio e blasfemo, andando a collidere con un precetto superiore e sovrumano nel senso letterale del termine. Chi obbedisce alla morale religiosa, delega a terzi la creazione dei correlati comportamenti etici nonché la loro verifica, aspetto che nel corso dei secoli ha generato forme di limitazione del libero pensiero e di controllo delle masse a volte sfociate nella repressione più sanguinosa. Quanto sopra non si applica quando la religiosità si realizza tramite un personale percorso mistico o gnostico e ciò ci conduce alle riflessioni che seguono.

A mio vedere  la morale laica ha al proprio centro l’UOMO, non un dio o comunque una sua diretta influenza  rappresentata “in esclusiva” da una sorta di mediatore spirituale autoproclamatosi tale o comunque insediato nel suo ruolo dalla gerarchia cui appartiene. La morale laica è il motore che ci spinge alla ricerca del giusto e del vero e che, grazie alla ragione ed alla profonda conoscenza intima del proprio io, genera la capacità personale di discernere ciò che è buono da ciò che è cattivo, Sarà poi l’etica, moralmente orientata, che ci farà agire in conformità. 

Ciò non deve assolutamente essere scambiato per un approccio ateo: affidare la costruzione della propria etica ad una morale elaborata dal proprio intelletto e dalla propria intuizione piuttosto che a codici e scritture interpretati ed applicati da altri uomini che si arrogano la capacità esclusiva di trasmettere la volontà divina, non nega la divinità ma anzi ne anela l’intervento diretto per illuminare le tenebre che ogni uomo ha dentro di sé. Si tratta di un approccio gnostico, difficile da perseguire e che, se mal intrapreso, potrebbe condurre ad un vizioso relativismo per cui il concetto di “valori universalmente condivisi” potrebbe trasformarsi in “valori che vanno bene a me”. L’EGO e non più l’UOMO sarebbe al centro del nostro cammino, il tentativo di reintegrazione col divino assumerebbe le vesti di un patetico tentativo di farsi dio ed il baratro del nichilismo si spalancherebbe sotto di noi, pronto ad accoglierci in una caduta senza fine.

Una cosciente laicità chiama ognuno ad una sorta di autonomia morale governata da principi che in ciascuno di noi devono essere coltivati con lo studio, l’intuizione quindi la mirabile miscela di queste due attività, svolte simbolicamente dal cervello e dal cuore: conoscenza razionale e conoscenza intuitiva “alleate” e non antagoniste, alla ricerca del vero sé. 

Il compito degli uomini di buona volontà è appunto quella di trasmutarsi in uomini migliori che con l’esempio influenzino positivamente il resto dell’umanità circostante. I valori universalmente condivisi di cui abbiamo parlato poco sopra sono il risultato dell’unione dei valori del singolo, anelito verso la scintilla divina che dobbiamo ricercare nel nostro profondo e che ci può instradare verso la comprensione del bene e del male. Col tempo, la trasmissione di generazione in generazione  di certi principi morali li farà sedimentare nella coscienza collettiva divenendo archetipo, per cui ogni essere umano potrà alla nascita  disporre di un imprinting che sarà poi compito della propria coscienza  adottare o meno in quanto “uomo libero”. 

L’epitaffio del filosofo Kant ora si palesa in tutta la sua profondità: l’uomo è immerso nel creato, ne è parte sostanziale e di ciò ne è grato al principio creatore ma dovrà scavare nel suo profondo per trovare una bussola personale che, se ben consultata, gli indicherà la stella polare della Verità e della Giustizia. Il divino soprintende a tutto e tutti ma solo gli uomini che riusciranno ad attivare determinati canali “sottili” ne potranno percepire il messaggio riuscendo ad ascoltarne la voce al proprio interno.

In conclusione, penso che la ricerca quindi la pratica della morale, sia laica che religiosa, risiedano nella necessità dell’uomo di percepire protezione a livello fisico e spirituale e la protezione la si ottiene disponendo di regole comportamentali che organizzino la vita in senso materiale e metafisico. Ma mentre nella religione le regole sono create da alcuni uomini per essere poi applicate ad altri uomini magari tendenzialmente portati ad accettare indicazioni, anche incomprensibili, da parte di terzi, nella morale laica l’uomo coraggioso e volenteroso sfida le proprie debolezze e crea norme nel rispetto dei diritti e doveri propri e della comunità per poi applicarle con rigore prima di tutto a sé stesso e senza che nessuno glielo imponga, sostenuto dalle virtù personali.

 

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