Il primo dicembre di cinquant’anni fa l’Italia usciva dalla famiglia ed entrava ufficialmente nella modernità. L’italiano non si pensava e non si organizzava più per famiglie ma per singoli. Col divorzio fece un passo avanti l’individuo e un passo indietro la famiglia. O per dirlo a rovescio, il divorzio vinse perché erano cresciute la centralità dell’individuo e l’autonomia femminile rispetto alla centralità della famiglia e al predominio maschile. Il 1° dicembre del 1970 fu la giornata della Liberazione dalla famiglia.
L’Italia cattolica, democristiana e familista faceva il suo salto nella secolarizzazione libertaria e individualista. Fu un passaggio epocale. Come tutte le date ufficiali è un riferimento simbolico di un processo più vasto, cominciato prima e proseguito dopo. Furono aboliti i reati di adulterio, concubinato e propaganda dei metodi anticoncezionali. Un fronte laico esteso ai comunisti sostenne la legge sul divorzio presentata dal socialista Fortuna e dal liberale Baslini.
Togliatti
Erano ormai alle spalle i tempi in cui Togliatti definiva “innaturale” il divorzio (nonostante la sua relazione extraconiugale con la Jotti). Il Pci si era secolarizzato e si avviava a diventare la colonna portante di quello che Augusto del Noce avrebbe definito “partito radicale di massa”. Il divorzio fu la rivincita protestante sull’Italia cattolica, della cui mentalità era figlio anche il vecchio Pci. I radicali di Pannella furono l’avanguardia della battaglia sul divorzio, la madre di tutte le battaglie civili che poi seguiranno, aborto incluso.
L’Italia usciva dalla protezione parrocchiale, entrava sotto la protezione televisiva, usciva dalla dipendenza dal modello patriarcale ed entrava nella dipendenza dal modello americano. C’era stato prima il boom economico, il Concilio Vaticano II, il ’68 e l’Autunno Caldo. Arrivò poi il divorzio territoriale, la fine dell’Italia dei prefetti, per dar luogo, nello stesso 1970, all’Italia delle Regioni.
Il modello svedese
In quel tempo, per dirla col Vangelo, il modello civile di maggiore suggestione era la Svezia permissiva, individualista e socialdemocratica, single e libertaria ma protettiva e statalista. Meno famiglia ma più Stato, grazie a un pervasivo sistema pubblico. Minigonne, hot pants e libero amore fecero da cornice leggiadra alla liberazione sessuale. I giornali del tempo, ad eccezione de Il Tempo e Il Giornale d’Italia, furono tutti a favore del divorzio e poi del no al referendum di quattro anni dopo, quando restarono sconfitti due svogliati interpreti del fronte antidivorzista, Fanfani e Almirante (a sua volta anch’egli nella situazione togliattiana). Nonostante le due grandi sconfitte del divorzio e dell’aborto, la Dc restò al potere godendo dello stesso consenso elettorale.
Mutò la motivazione del consenso alla Dc, mentre perdurò il movente clientelare, il voto di scambio. Nel frattempo la società era mutata: il lavoro alle donne, il benessere economico e la contestazione avevano reso il divorzio inevitabile. Fummo i penultimi in Europa, restò solo la Spagna di Franco, cattolicissima. Il divorzio tra sfera dei valori e politica fu clamoroso nella Dc, che per la prima trovava alleata la destra, per la seconda si univa all’arco costituzionale e spingeva verso sinistra, fino al compromesso storico con il Pci degli anni ’70. Sicché in famiglia votava coi missini, in aula coi comunisti.
Una conquista e una perdita
“Mi alzerò presto, mi farò la barba e andrò a dire di sì, spensieratamente, alla distruzione della famiglia”, così l’apocalittico Guido Ceronetti annunciò il voto a favore del divorzio. A destra Indro Montanelli fu da laico liberale a favore del divorzio. E a sinistra Pasolini l’antimoderno denunciò nel divorzio l’applicazione del consumismo ai costumi, il trionfo irreligioso del neo-capitalismo, l’avvento dell’edonismo americano. E accusò la Chiesa di non aver avuto il coraggio di passare all’opposizione rispetto al mondo.
La legge sul divorzio fu una conquista e una perdita. Come ogni medaglia ha una testa ed una croce. La testa fu la libertà, i diritti per le donne, l’autonomia, l’emancipazione. La croce fu che la famiglia cominciò a sfasciarsi come principio, fondamento, dovere, fedeltà, denatalità. Ridusse il legame nuziale a fatto soggettivo e revocabile, così negando la sacralità del legame nuziale.
Il divorzio non mantenne le sue promesse
Ma il divorzio non mantenne le sue promesse. Le violenze coniugali non sono diminuite con le separazioni, come allora si disse; anzi hanno esiti più tragici. E poi, la famiglia è in crisi ma il “familismo amorale” è rimasto in auge e non solo nelle aree più arretrate o nella malavita: si pensi al nepotismo delle élite e nelle università. Infine il divorzio non ha generato rapporti più leali tra coniugi, senza finzioni, sotterfugi e scappatelle; anzi le ipocrisie, le frustrazioni, i tradimenti sono aumentati. Quel che non poté il divorzio fece il telefonino, la prima causa statisticamente accertata dei litigi coniugali. Curiosa infine la parabola invertita delle unioni gay: la famiglia si sfascia, è la loro nemica di sempre ma le coppie omosessuali vogliono parificarsi alle famiglie e avere figli.
Di solito si ricordano abusi e soprusi della famiglia arcaica, il padre-padrone e la gerarchia domestica. Ma per ogni abuso c’erano cento casi di toccante dedizione, per ogni violenza c’erano mille sacrifici personali, per ogni chilo d’odio c’era un quintale d’amore. Oggi assai meno.
La famiglia arcaica è irripetibile. Migliore, peggiore? Diversa. Rispettate le diversità. La famiglia tradizionale merita onesti giudizi storici e affettuosi ricordi ma è alle nostre spalle. Non disprezzatela, non sputate sui vostri padri e sulle vostre madri. Era la famiglia di una volta, bella e irripetibile… Resta indissolubile la famiglia verticale: sono infatti irrevocabili i legami di sangue e carattere con i padri, le madri, i fratelli, i figli. Una moglie, un marito si sceglie; una madre, un figlio sono un destino.
MV, La Verità
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