Sui fondamenti cristiani dell’Europa, dal punto di vista geopolitico e antropologico, sarebbe molto da discutere. Il cristianesimo fu un innesto, un’irruzione: l’uomo pagano, libero e signore, assorbito nel sacro totale, venne lentamente – e a volte violentemente – sostituito dall’uomo devoto. Addomesticato e servo di un umanesimo personalizzato. Esso fu una astuta operazione capillare e inesorabile – come si espresse Nietzsche – di sovvertimento della spiritualità in religiosità, di sentimento in credenza, di virilità in impotenza.
Tagliando per ovvie necessità di tempo e di spazio molti importanti approfondimenti, passiamo al cattolicesimo. Prima riconoscente della supremazia imperiale con Carlo Magno capo del sacro e del secolare, poi con la pretesa di superiorità dell’ordine sacerdotale e la sua vocazione materna e accudente.
È da dire che, in ogni caso, per molti secoli la Chiesa cattolica fu combattente ed eroica. Costruttrice di memorie e di grandezze, fecondatrice di cultura e di civiltà.
Di questa tradizione ora rimangono rappresentanti nella dottrina ortodossa e in alcuni elementi religiosi estranei alla deriva vaticana.
Tanto capillare ed inesorabile fu la distruzione cristiana del paganesimo, tanto sistematica e impietosa è l’autodistruzione del cristianesimo ad opera delle forze sovversive endogene: dal Concilio Vaticano II all’ultimo sedizioso pontefice.
Il passaggio da sacerdote a prete
Ogni simbolo di virile potenza venne rinnegato, fino a trasformare i sacerdoti – preposti ai riti sacri – a preti. Ad assistenti sociali di reietti e malriusciti, secondo il pensiero di Nietzsche. Prevalse il senso di colpa – dal peccato originale che uccise l’eros trasformandolo in pornografia, fino a quello per i diseredati del terzo mondo. I falliti della terra, gli allogeni sbarcanti – e, con esso, la volontà masochistica di espiazione e di risarcimento.
San Paolo ha vinto sul Cristo trionfante, e si ritorna, così, alla religione desertica e catacombale, all’atmosfera cupa e tetra del martirio, alla rinuncia di ogni reazione di fronte all’ecatombe dei fedeli nel mondo.
Per questo ha ragione l’amico Marco Cimmino nel riassunto in esergo. Il cristianesimo ci ha resi pavidi e autolesionisti con la sua volontà necrofila e la perversione sacrificale. Anche Leonida e i trecento si sacrificarono alle Termopili, ma combattendo a sprezzo della morte. Questi cristiani godono della morte e muoiono in ginocchio sopraffatti dalla bontà.
Finisco con una battuta un po’ cinica, ma condivisibile. Per questi apologeti della malattia dell’anima e della vendetta contro lo spirito, vale il motto: Il buon giorno si vede dal martirio.
Adriano Segatori
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