Eravamo rimasti che la sesta banca d’affari americana Bearn Sterns il 17 marzo 2008 fu acquisita da JPMorgan. Anzi per meglio dire fu inglobata con asset svalutati e capitale pari a zero.
Un affare si potrebbe dire per JPM. Che all’epoca non poteva avere ancora chiaro cosa stesse per accadere al mondo finanziario delle “Too Big Too Fails” da lì a qualche mese.
Tutti gli operatori di finanza sanno che le perdite si conclamano quando devi vendere un asset svalutato. È il gioco di borsa dove ogni giorno qualcuno vince e molti perdono. Ma in sostanza pochi sanno che le perdite e i guadagni sono amplificati dagli strumenti derivati. Questi sono strumenti finanziari che derivano le loro caratteristiche da altri strumenti finanziari, e che dunque ne incorporano pregi e difetti.
Sarebbe bello poter pagare un decimo del valore di un pacchetto di mille azioni Apple, tenerle per un po’, e poi rivenderle. Dopo magari un rialzo del 10% entro una certa data. Si versa qualcosa per avere una grande possibilità di guadagno. O di perdita. Questo che ho descritto si chiama Futures, o meglio è simile ad un future. Ecco il mercato dei derivati assorbe tutta la speculazione possibile su strumenti finanziari. Di ogni tipo.
I subprime
In quel periodo sappiamo che si concentrò su particolari strumenti: i mutui cartolarizzati di tipo subprime. Quindi non fu tanto la concessione di un mutuo subprime il problema, quanto la gestione del rischio di insolvenza in monte della cartolarizzazione dei mutui subprime.
I derivati che prezzavano la copertura assicurativa dell’insolvenza delle cartolarizzazioni, i cosidetti cds, credit default swap. Cosa che a noi europei fa pensare, ma a ben vedere sul mercato americano si trovano perfino i derivati sulle polizze assicurative legati allo scoppio di tifoni o uragani. Che hanno senso perché i premi assicurativi (il premio è un prezzo) di oggi vengono fermati e quindi possono variare ed hanno dunque un mercato proprio, di tipo speculativo, quindi di derivati.
I cds delle varie compagnie assicurative, perché andando in default un ramo, quello della assicurazione contro l’insolvenza di una cartolarizzazione di un mutuo subprime, c’era il rischio del default dell’intera compagnia assicurativa.
I cds delle compagnie che controgarantivano le ipoteche sugli immobili offerti in garanzia.
Il mercato dei derivati sulle scommesse dell’andamento dei corsi azionari delle banche, sia per le banche prestatrici di fondi per erogare i mutui sia delle banche che prestavano fondi alle banche prestatrici di fondi. Uno scioglilingua. I ricavi in termini di commissioni per il periodo precedente al 2008 erano strabilianti. Ve li ho ricordati alla prima puntata di questo speciale Lehman Brothers.
La leva
Tutto ciò a leva, con il leverage: ho capitale 100, emetto carta per 1000, cioè dieci volte tanto. Lehman era a 57 il giorno del default, ossia per ogni dollaro di capitale ce ne erano 57 di debiti da onorare, e questa leva unita ai derivati è proprio l’elemento che ha generato la crisi di liquidità sistemica.
Come si affronta la crisi di liquidità per giunta sistemica?
Con una banca centrale che “whatever it takes” qualunque cosa succeda, farà fronte per difendere la stabilità economica, che, in altri termini, significa difendere il potere di acquisto per i cittadini “del dollaro – o euro”. Il mondo finanziario delle banche centrali si può dunque dividere in due ere: prima del 2008 e dopo il 2008. Quello prima del 2008 è un mondo delle banche centrali scolastico, si può tranquillamente studiare sui libri di storia economica dove l’intervento della banca centrale è legato soprattutto al ruolo di prestatore in ultima istanza al governo centrale (ed alla economica nazionale dunque) in difficoltà. Quello dal 2008 invece è un romanzo che ancora non è finito e ne parleremo alla prossima puntata.
Leggi anche: Il fallimento Lehman Brothers 1. Bearn Stern il paziente zero
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