IL FETICCIO MANIFESTO
In tempi complicati per l’Europa, dove si combattono battaglie importanti per il futuro del continente e del mondo intero, Giorgia Meloni ha avuto lo strepitoso coraggio di abbattere un altro totem della Sinistra: il Manifesto di Vetotene.
Ciò ha profondamente shockato i feticisti del Manifesto i quali evidentemente o non lo hanno letto (ed è grave) o lo hanno letto e lo condividono (ed è ancora più grave!). Ma il tema è importante, riguarda tutti noi ed è bene essere chiari su quale tipo di modello europeo vogliamo costruire. Oggi più che mai!
Il Manifesto di Ventotene fu completato nel 1941 ad opera prevalentemente di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e altri intellettuali spediti al confino dal fascismo.
E, in quella difficile e drammatica situazione, provarono a immaginare la costruzione di un soggetto politico unitario che fosse in grado di abbattere i fondamenti ideologici e politici su cui si basava il nazionalismo, vero e proprio progenitore delle dittature del Novecento.
L’intento, si capisce, era assai lodevole, e anche nelle premesse si intendeva riportarsi a quella grande tradizione liberal-.illuministica che potremo identificare con il testo “Per la Pace Perpetua” di Immanuel Kant
La costruzione di un sistema sovrastatale che fosse in grado di funzionare come camera di compensazione per dirimere gli egoismi nazionali poteva essere sicuramente un’idea atta a garantire la pace nel continente. E dobbiamo riconoscere che, nel corso degli ultimi Ottanta anni ciò è in parte avvenuto.
Ma accanto a questo esito sicuramente positivo non si possono sottacere alcune conseguenze negative dell’attuale Unione Europea che richiamano da vicino i presuppposti di Ventotente
Insomma, a intenti lodevoli non sempre hanno corrisposto risultati altrettanto lodevoli.
Quella immaginata a Ventotene – è bene chiarire subito il punto – non era una sovrastruttura istituzionale e costituzionale realmente democratica, libera e politicamente espressiva della sovranità popolare.
Cioè, non era in altre parole, la risposta più logica e consona alle brutture della dittatura totalitaria fascista nazista e comunista. Si comprende il contesto, e non avrebbe senso decontestualizzare il “dictum” del Manifesto
Ma d’altra parte non si può nemmeno sottacere delle evidenti impostazioni ideologiche che sarebbero rimaste tali e quindi confinate nel periodo storico di riferimento, se non fosse che su quelle forzature è stata costruita l’impalcatura dell’attuale Unione Europea.
E i risultati soino ben evidenti sotto gli occhi di tutti, se ci si sforzasse di andare il nostalgismo mitologico e ci si approntasse a guardare la realtà.
Se si considerano alcuni tratti salienti del Manifesto, emerge chiaramente che il futuro “Stato Europeo” si inscrive pienamente nel processo costituente di natura socialista ed esprime una tensione istituzionale del tutto coerente con quella ideologia politica, non solo nei suoi risvolti utopistici, ma anche in quelli tragicamente reali e incarnati storicamente da una serie di dittature terribili
Il frame palesemente socialista lo si individua bene allorchè si predica l’abolizione della proprietà privata o la mera tolleranza della stessa “solo in linea provvisoria, quando non se ne possa fare a meno”. In questo passaggio – che volutamente si cita per primo – è riportato il cuore del pensiero marxista che, come noto, mirava a riequlibrare i rapporti di forza economici mediante la soppressione della proprietà privata (e le libertà ad essa connesse) e l’instaurazione – medio tempore – della dittatura del proletariato.
Ebbene, storicamente ciò si verifica a partire dal 1917 in Russia e non pare proprio di poter dire che quella esperienza è stata un faro di democrazia. L’estensione post-bellica di quel modello a parte dell’Europa (in Paesi che oggi fanno parte a pieno titolo dell’UE) è alla base anche delle conflittualità di quei paesi con le attuali istituzioni comunitarie
Trascurando questo aspetto diviene semplice distinguere il mondo in buoni e cattivi. Ma si fa un torto alla verità e all’analisi storico-politica. Se al tempo Spinelli e Rossi ancora le brutture del regime staliiano non erano completamente note (e ciò va detto a parziale scusante degli estensori de Il Manifesto), è altrettanto vero che successivamente vennero alla luce tutti i fallimenti dei regimi comunisti fondati sull’abolizione della proprietà privata e delle connesse libertà.
Perciò chi dopo Spinelli e Rossi ancora osannana un manifesto politico che a quel “prius” ideologico si ispira, è in evidente malafede
Altrove, il Manifesto, allorchè espone quale debba essere il processo costituente (che gli estensori, non a caso, definiscono creazione rivoluzionaria) espressamente ne esclude la natura necessariamente democratica.
Si legge infatti “non è da temere che tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo”e ancor più chiaramente “attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato, e intorno a esso la nuova vera democrazia”.
Dal che si deduce che la sostituzione di un regime (quello fascista) non doveva culminare in un processo democratico di liberazione dei popoli, ma poteva bensì esitare in un nuovo dispotismo di natura sovranazionale, cuiriosamente definito “nuova vera democrazia”. In sostanza non si escludeve affatto che il processo di costituzione europea potesse comportare meramente una sostituzione del despota a “carte invariate”
Allora ci si chiede per qual ragione mai i cittadini europei dovessero prediligere uno piuttosto che l’altro, dal momento che in ambedue le circostanze la loro volontà sarebbe stata comunque destinata a divenire ininfluente.
E che d’altra parte, non vi fosse alcuna considerazione del popolo in quanto tale, gli autori de “Il Manifesto” lo chiariscono molto bene allorchè affermano “il popolo ha sì bisogni fondamentali da soddisfare ma non sa con precisione cosa volere o cosa fare”. Se ne deduce che se il popolo per sua natura non sa quel che vuole non può certo progettare attivitamente il proprio futuro, ma ha bisogno di capi che lo indirizzino. Avevano forse in mente gli attuali burocrati?
Se dunque la democrazia non è necessaria, il popolo ha bisogno di guide e il dispotismo non è escluso, tutta la tensione ideale e salvifica attribuita al Manifesto di Ventotene viene inevitabilmente meno
Si tratta né più né meno di una sorta di Unione Sovietica Europea che detta la linea agli Stati nazionali (fino a che questi sopravvivano, dal momento che ne è prevista e auspicata la scomparsa).
Ebbene, essendo queste le basi, fa assolutamente bene Giorgia Meloni a dire “Questa non è la mia Europa”.
E maggior attenzione dovrebbero fare i cultori de “Gli Stati Uniti d’Europa” per evitare di lanciare inutili e pericolosi slogan
A maggior ragione se si prova a confrontare il Manifesto di Ventotene con la attuale Unione Europea che da quell’imprinting sorge.
Certamente non era, ne è rinvenibile nell’attuale UE l’abolizione diretta della proprietà privata, ma sarebbe stupido non notare che l’ iper-regolamentazione comunitaria reca in sé le tracce di quello statalismo che ha costituito negli anni del dopo guerra la versione 2.0 delle premesse marxiste. Insomma, non potendo abolire la proprietà privata e la conseguente libertà economica, si limita in modo asfissiante l’esercizio di quella libertà.
Naturalmente per fini alti e atrli, si intende
Mentre invece, è del tutto sovrapponibile l’idea sminuente che le attuali elites europee hanno del popolo e della loro volontà, merce sacrificabile a interessi – anche in questo caso – alti e altri, naturalmente decisi in ben segrete stanze.
La sovranità popolare e la evidente espressione di questa sono sovente pretermesse a vantaggio di esigenze diverse, circostanza che si riflette nella composizione delle maggioranze parlamentari, negli indirizzi politici, nelle soluzioni dispotiche per confermare gli assetti di potere
Così come del tutto coerente alle premesse ventotenee, il senso del tutto parziale e liberalmente coercibile della democrazia come forma di governo europeo. Per molti decenni dalla sua fondazione, l’unica istituzione di legittimazione popolare, cioè, il Parlamento Europeo è stato sfornito di poteri effettivi di indirizzo e controllo oltreché dal punto di vista dei rapporti istituzionali.
Da un po’ di tempo questo è progressivamente cambiato, ma siamo ancora molto lontani dal modello di esecutivo che si regge sulla fiducia parlamentare. Anzi, gli esiti dispotici delle attuali istituzioni comunitarie sono ben presenti non tanto nell’architettura costituzionale dell’UE, quanto nelle tematiche in agenda e nella strenua difesa di queste contro ogni soggetto che non si identifichi nel mainstream europeo
Ciò vale per il green deal, o per le politiche sedicenti inclusive, o per tutte quelle tematiche di natura generale – talvolta persino etica – in cui la wetlanschaung progressista è messa a rischio.
Insomma, Giorgia Meloni ha ragione quanto ci dice che il Manifesto di Ventotene ci consegna il modello di un’Europa socialista che, seppur legittima come opzione, non può certamente essere il modello di riferimento per chi socialista non è
E il fatto che l’attuale Unione Europea ne ricalchi alcuni elementi costitutivi e vi si ispiri nella costruzione delle c.d. “parti mancanti” dovrebbe far riflettere, soprattutto quei sedicenti liberali che, invece, ne sono innamorati alla follia.
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