Parlare di Foibe in Italia per tanti anni è stato un vero e proprio tabù. Sicuramente c’era una cattiva coscienza dell’allora Partito Comunista a riguardo. Che pur non avendo responsabilità dirette, temeva sicuramente da una parte di compromettere nell’immaginario collettivo l’idea che l’opinione pubblica potesse avere dei comunisti ( anche se si trattava di jugoslavi). E d’altra parte la paura che avevano anche altri esponenti politici per evitare di compromettere i rapporti con il regime di Tito.
I massacri vengono celati per molto tempo all’opinione pubblica. Tito riuscirà a far filtrare all’estero un’immagine di moderato. Ospitò spesso illustri personaggi della finanza e dello spettacolo. Memorabile il pranzo con Sophia Loren che cucinò personalmente un piatto di spaghetti.
Josip Broz Tito, allora Capo di Stato della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia nel 1969 ricevette addirittura l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce decorato di gran cordone, il più alto grado di riconoscimento che si possa concedere nell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.
Un vero e proprio affronto oltre che ai morti, a tutti i profughi che vivevano ancora nei campi in Italia.
La giornata del ricordo
Solo nel 2004 lo Stato Italiano ha varato la legge che istituisce la giornata del ricordo. Per molti anni delle Foibe non si parlava neanche nei libri di storia.
Il 10 febbraio del 1947, giorno in cui stava avendo luogo la firma del trattato di Parigi. La città di Pola veniva ceduta dagli inglesi alla Jugoslavia. La cerimonia vedeva la presenza del comandante della guarnigione inglese il generale Robert de Winton.
Durante il passaggio di consegne una maestra originaria di Firenze, Maria Pasquinelli che morirà centenaria, esce dalla folla ed esplode alcuni colpi di pistola verso l’alto ufficiale uccidendolo.
Sarà inizialmente condannata a morte dal tribunale alleato, per vedere poi la sentenza commutata in ergastolo ed essere successivamente graziata dal Presidente della Repubblica.
Il giorno dell’attentato portava con sé un biglietto dove c’era scritto: “Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d’Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio”.
Oggi il dramma delle Foibe è conosciuto, il nome di Maria Pasquinelli oscuro ai più.
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