Il 28 settembre 1943 al Castello della Rocca delle Camminate, una residenza di proprietà privata di Benito Mussolini donatagli dai cittadini di Ravenna che l’avevano pagato una lira a testa, si riunì la prima seduta del governo della Repubblica Sociale Italiana.
In realtà una vera e propria sede di governo questo gabinetto non l’ebbe mai poiché si riunì successivamente sempre in sedi diverse.
Era comunque escluso che Benito Mussolini potesse tornare a Roma o il governo insediarsi nella capitale.
La situazione avrebbe presto probabilmente costretto all’evacuazione. Si sarebbe potuta ripetere, anche se magari organizzata e spiegata meglio, una situazione che la propaganda nemica avrebbe potuto equiparare alla tanto decantata fuga del Re. Un episodio che comunque aveva inclinato il prestigio dell’Istituto monarchico in Italia.
Benito Mussolini riassumeva in se stesso la figura di capo dello Stato e di capo del Governo. Mantenendo anche l’interim degli esteri e scegliendosi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, una medaglia d’oro al valore militare, invalido di guerra e giornalista: il sardo Francesco Maria Barracu.
Il nuovo Governo
Il governo non annoverava nomi di primissimo piano del ventennio fascista, i gerarchi più in vista avevano votato generalmente contro Mussolini il 25 luglio. Di quelli che avevano votato contro all’ordine del giorno Grandi, Mussolini nominò Buffarini Guidi agli interni. L’accademico Carlo Alberto Biggini, ministro dell’educazione nazionale. Giuseppe Peverelli che aveva avuto l’incarico ministeriale il giorno precedente la caduta del Fascismo, fu confermato alle comunicazioni. Antonio Tringali Casanova, già presidente del tribunale per la sicurezza dello Stato, fu nominato alla giustizia ma stroncato poco più di un mese dopo, ad inizio novembre, da un’angina pectoris che costrinse a sostituirlo con Piero Pisenti.
I lavori pubblici furono affidati ad Ruggero Romano, un avvocato siciliano che si era battuto per gli invalidi ed i mutilati di guerra ma era comunque una figura poco nota durante il regime. Le finanze andarono all’accademico Giampietro Domenico Pellegrini. L’economia corporativa, che aveva il gravoso compito di controllare anche la produzione nazionale e salvaguardare gli impianti industriali inizialmente a Silvio Gai, che però dopo appena tre mesi sarebbe stato sostituito, per insanabili contrasti con i tedeschi, da Angelo Tarchi.
Ferdinando Mezzasoma, che era già stato direttore generale della stampa italiana assunse l’incarico di ministro della cultura popolare; mentre un rappresentante degli interessi agrari andò al ministero dell’Agricoltura: Edoardo Moroni.
Un dirigente di secondo piano noto quasi esclusivamente in Lombardia come Giuseppe Spinelli ebbe il ministero del lavoro. Mentre Renato Ricci quello delle attività statali oltre che il comando della Guardia Nazionale Repubblicana. Organo militarizzato di polizia che riprendeva la tradizione della milizia ed aveva ottenuto una certa indipendenza dalle forze armate.
Nomi di basso livello
Il governo non aveva grossissimi nomi, il fascismo non poteva contare oltre Mussolini su figure forti.
In parte perché i pochi che avevano avuto una certa visibilità durante il ventennio erano come detto coloro che l’avevano abbandonato, ed in parte anche perché la figura di Mussolini aveva sempre adombrato la maggioranza di tutte le altre nel regime.
Però ci fu un’ottima mossa per la difesa: Rodolfo Graziani. Un generale che aveva svolto addirittura la funzione di capo di stato maggiore dell’esercito. Un comandante che si era fatto una certa fama soprattutto quale oppositore di Badoglio.
Questo in un certo senso poteva essere un asso nella manica. Poiché la ricostituzione delle Forze Armate era comunque essenziale per cercare di rivendicare propagandisticamente la difesa del territorio.
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