Achille Occhetto fece una svolta importante per la sinistra italiana. La nascita del Partito Democratico della Sinistra è rimasta quale tappa costitutiva ed imprescindibile di una scelta di sinistra in un mondo che andava verso le democrazie liberali.
Tangentopoli ha fatto il resto. Poiché ha inibito al Partito Socialista la possibilità di presidiare quello spazio socialdemocratico necessario al compimento in senso positivo della transizione dal PCI al PDS; ed alla Democrazia Cristiana di fare un argine ai moderati di sinistra che avrebbero potuto vedere con simpatia quella svolta.
Massimo D’Alema è stato il modernizzatore, l’uomo che è riuscito a portare avanti un dibattito culturale che desse dignità intellettuale alla svolta della Bolognina. E che fosse al contempo il viatico per tener vivo un sentimento d’ispirazione comunista nel mondo moderno.
Un’idea di fondo in nome della quale l’eurocomunismo di Berlinguer si fosse venuto a compiere.
I tentativi di evoluzione della sinistra italiana
Nel tempo la sinistra italiana ha avuto varie evoluzioni tra cui quella storica del Partito Democratico e del conseguente ingresso di un importante aria di sensibilità centrista. Ma fondamentalmente l’area culturale di riferimento e la struttura portante del Partito Democratico è rimasta quella erede della svolta della Bolognina.
Neppure la nebulosa gestione di Veltroni, che cercava di spostare in senso liberale il primo partito della sinistra italiana è poi riuscita nell’intento. Gli eredi della storia del Partito Comunista Italiano sono rimasti predominanti.
Renzi ha provato a scardinare il sistema
Oggettivamente solo Matteo Renzi ha rappresentato una minaccia reale a quella egemonia politico culturale. La sua leadership personalistica rappresentava una rottura con la tradizione comunista che solidificava le segreterie. Non soltanto con il carisma del capo ma soprattutto con il consenso dell’apparato ed in special modo dei quadri dirigenti; nonché con l’ideologia che si spostava chiaramente in direzione liberale.
Ma Matteo Renzi è un uomo che non poteva incarnare l’anima e la storia della sinistra in questo paese. Travolto da risultati non soddisfacenti della sua azione di governo, ha bruciato quell’immagine di uomo di rinnovamento che gli aveva permesso di radunare intorno alla sua figura un ampio consenso.
L’ex rottamatore avrebbe potuto funzionare meglio in un regime proporzionale puro, dove si tende più alla creazione di governi di compromesso più che a governi scelti direttamente dagli elettori.
Oggi che stiamo vivendo una fase importante nella quale i poli si stanno riorganizzando, l’operazione del partito democratico di strutturare una coalizione stabile con i pentastellati, che probabilmente nel tempo verranno fagocitati, vista la sproporzione tra la preparazione dei quadri dirigenti dei primi e l’impreparazione dei secondi; è figlia di quella cultura politica.
Un lungo filo rosso ideologico lega le mosse dell’attuale classe dirigente alle spalle di Zingaretti.
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