Il mio compleanno e l’assassinio di Giovanni Falcone.Trentuno anni fa veniva assassinato dalla mafia Giovanni Falcone. In quella che la storia ricorda come la strage di Capaci.
Con lui veniva uccisi gli uomini della sua scorta e sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato.
Non sarebbe passato molto prima che venisse ucciso anche il suo più leale amico ed alleato nella lotta alla mafia, Paolo Borsellino.
Il mio compleanno
Era un bambino avevo appena undici anni. Terminavo la scuola elementare. Ricordo quel giorno come scioccante. Rimasi basito. Tutta l’Italia era sconvolta.
E non vi nego che i primi anni, quando le commemorazioni erano particolarmente partecipate e sentite. Quando la ferita era freschissima. Io ero quasi a disagio a pensare che proprio il giorno del mio compleanno avessero assassinato Giovanni Falcone. Da bambino mi dispiaceva. Perché metteva sicuramente una nota triste, ad una giornata che io reputavo allegra. In cui scartavo regali, mi venivano a trovare i nonni e i parenti.
Però poi ho capito che quella memoria era importante , che potevo dare un piccolo contributo a portarla avanti. Ad insegnare ai giovani cosa significava per me e quanto era odiosa oppressiva la mafia.Quanto la mafia sia il nemico peggiore, perché tra di noi. Subdolo, ma radicato.
Un esempio
Giovanni Falcone, come Paolo Borsellino, vanno ricordati insieme . Non bisogna scindere le due figure, che sono portatrici di un messaggio unitario.
Non sono un ricordo, o una commemorazione. Sono una rotta, una strada, un percorso da seguire.
Giovanni Falcone diceva:“Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili”.
Non ho fatto nulla di male. Ma non ho fatto niente. La colpa dei più, nella stragrande maggioranza dei luoghi, nella stragrande maggioranza dei tempi.
Un esempio vivo
La memoria, non deve essere nera commemorazione fine a se stessa. Deve essere propedeutica a rilanciare i valori, gli ideali che animarono l’azione di uomini eccezionali. Giovanni Falcone era stato allievo ufficiale della marina militare, aveva un senso profondo dello Stato.
Era anche lui un uomo. Aveva anche lui paura di morire probabilmente. Ma sentiva il profondo dovere di combattere l’ingiustizia. Sentiva un profondo dovere verso il suo ufficio di magistrato e verso il Paese. Un dovere che ha saputo anteporre a se stesso.
È qui l’esempio. Qui è l’ispirazione. Lui non viveva solo per se stesso, per il suo tornaconto e per la propria felicità. Si sentiva membro di una grande comunità umana. Sentiva di avere dei doveri superiori . Non accettava prima di tutto come uomo il compromesso, lo stare in silenzio. Il reputarsi innocente perché non si fa del male, ma si tollerava il male.
Questo andrebbe insegnato ai giovani. Questo è l’esempio che dovrebbero vedere i tanti ignavi, i tanti imbelli del nostro tempo. Quelli che tuttora la mafia la tollerano. Per trovare il coraggio.
Il Suo messaggio
“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”
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