Il Pd vuole imporre “Bella ciao” nelle scuole. Storia di una canzone Made in USA
La scuola è nel caos più totale: in tutta Italia mancano insegnanti, banchi e mascherine. Tutto quello che è stato imposto e promesso dall’Azzolina viene puntualmente disatteso. Attenzione però, al Partito Democratico è venuto un lampo di genio ed alcuni suoi Parlamentari hanno varato una nuova proposta di legge.
In ogni scuola, con studenti a sedere sulle ginocchia, senza banchi e con didattica ad orario ridotto, il Pd propone di insegnare nientepopodimeno che “Bella ciao”. Si, avete capito bene, stiamo parlando della canzoncina resistenziale. Il Deputato dem Fragomeni vorrebbe addirittura equipararla all’Inno di Mameli, facendole ottenere il riconoscimento di canto ufficiale dello Stato italiano. L’obiettivo è indottrinare i ragazzi, facendola studiare obbligatoriamente nelle scuole.
Evidentemente alla maggioranza, in questa situazione di caos totale, piace trastullarsi così.
La vera storia di “Bella ciao”
A raccontarcela, paradossalmente, non è un cattivone revisionista ma il sito dell’Anpi. Sono i partigiani stessi, o ciò che ne rimane, a specificare la storia di questa canzone, che con i combattimenti della Seconda Guerra Mondiale non ha niente a che vedere. Anch’essa, come tutta la resistenza italiana del resto, reca sulla propria etichetta la dicitura “Made in Usa”.
Il ritornello, infatti, è stato inciso e suonato per la prima volta a New York nel 1919, con il titolo “Klezmer-Yiddish swing music”. In America il brano fu portato da un fisarmonicista zingaro, Mishka Tsiganoff, originario di Odessa.
“La canzone divenne inno ufficiale della Resistenza solo vent’anni dopo la fine della guerra”, ammettono oggi quelli dell’Anpi. Ci dispiace per coloro che si immaginavano un canto libero e spontaneo risalente all’epoca bellica. La storia, però, è storia e non sempre si riesce a farla andare d’accordo con la propaganda. Stride non poco, infatti, quanto scritto dagli esponenti del Pd, secondo i quali Bella ciao è “espressione popolare dei valori fondanti della nascita e dello sviluppo della Repubblica”.
Cesare Bermani, autore di uno scritto pionieristico sul canto sociale in Italia, parla di “invenzione di una tradizione”. A consacrare il tutto arriva poi Giovanna Daffini, che nel 1962 aveva cantato una versione di “Bella ciao” nella quale non si parlava di invasori e di partigiani, ma di una giornata di lavoro delle mondine. Disse di averla imparata nelle risaie di Vercelli e Novara, dove era mondariso prima della guerra. Ai ricercatori non parve vero di aver trovato l’anello di congiunzione fra un inno di lotta, espressione della coscienza antifascista e un precedente canto di lavoro proveniente dal mondo contadino.
In definitiva, quindi, la canzone è stata creata per costruirci sopra della vuota retorica.
Una storia piena di dubbi e incertezze
Il testo, quindi, fu fatto proprio dai partigiani solo nel 1964. Il Nuovo Canzoniere Italiano presentò a Spoleto uno spettacolo dal titolo “Bella ciao”, in cui la canzone delle mondine aprì il recital e quella dei partigiani lo chiuse. Subito dopo però – sempre col lavoro di Cesare Bermani – arrivarono guai: “nel maggio 1965, in una lettera a l’Unità, Vasco Scansani racconta che le parole di Bella Ciao delle mondine le ha scritte lui, non prima della guerra ma nel 1951 in una gara di cori fra mondariso e che la Daffini gli ha chiesto le parole.”
Un grande caos in cui l’unica cosa certa è che tutto nasce dagli Stati Uniti d’America. “Bella ciao”, la Resistenza e il Partito Democratico hanno in comune lo stesso genitore-padrone d’oltreoceano. Nell’attacco del globalismo di Bella ciao al sovranismo di Mameli noi non abbiamo dubbi…
L’Italia chiamò.